L’esercito israeliano (Idf) ha presentato domenica sera al gabinetto di guerra il piano per l’evacuazione dei civili palestinesi dalle zone di combattimento di Rafah, la città più meridionale della Striscia di Gaza. È il preludio all’operazione militare, annunciata lo scorso 9 febbraio dal premier Benjamin Netanyahu. Lo scenario più temuto sta diventando realtà: Rafah è al confine con l’Egitto, è l’unica città in cui i civili si possono ancora rifugiare – ma i bombardamenti di Israele sono già in corso da settimane – mentre al centro della Striscia ancora si combatte e il nord di Gaza è stato raso al suolo. Si stima che quasi 2 milioni di palestinesi si siano ammassati nella città dopo essere fuggiti dai combattimenti. In caso di avanzata dell’esercito israeliano, non avrebbero più un posto dove scappare.

L’Idf “ha presentato al gabinetto di guerra un piano di evacuazione della popolazione dalle zone di combattimento nella Striscia di Gaza, con l’imminente piano operativo“, dice l’annuncio in ebraico dell’Ufficio del primo ministro, senza fornire alcun dettaglio su come o dove saranno trasferiti i civili. Il gabinetto ha approvato la fornitura di aiuti umanitari al sud di Gaza “in modo da prevenire i saccheggi”. Proprio domenica il premier Netanyahu ha dichiarato che l’operazione a Rafah metterà Israele a poche settimane dalla “vittoria totale“. Neanche un accordo sugli ostaggi interferirà con i piani di un’operazione a Rafah: “Se avremo un accordo sarà ritardata, ma ci sarà. Se non ci sarà un accordo la faremo in ogni caso”, ha spiegato Netanyahu.

Israele, specifica però una fonte, non ha ancora preso la sua decisione e sta ancora discutendo sul piano di evacuazione, “tutto è ancora in discussione“. Ha comunque confermato che l’esercito la scorsa notte ha presentato al premier Benjamin Netanyahu vari piani, inclusa l’evacuazione dei civili di Rafah nella zona di Khan Yunis, ma senza arrivare a una decisione finale. La stessa fonte ha poi aggiunto che Israele è in contatto con l’Egitto per il piano di evacuazione da Rafah.

I negoziati per una tregua intanto vanno avanti. Gli Stati Uniti hanno riferito che è stato raggiunto un “terreno di intesa” su cui proseguire. “Stiamo lavorando – ha detto Netanyahu in un’intervista alla rete Usa Cbs – su un accordo per gli ostaggi. Voglio arrivare a un’intesa e apprezzo gli sforzi degli Usa. Non so se la raggiungeremo, ma se Hamas riducesse le sue richieste deliranti per tornare alla realtà, allora un accordo ci sarebbe”, ha detto. Ma l’operazione a Rafah, ha ribadito il premier israeliano, è considerata una priorità e sul punto non c’è “alcun attrito con gli Usa“. Eppure sia l’Onu che Washington hanno chiesto a Tel Aviv di fermarsi. La prospettiva dell’operazione a Rafah e le condizioni poste da Netanyahu hanno infatti fatto infuriare Hamas: “Le sue parole- ha detto alla Reuters il portavoce della fazione islamica Sami Abu Zuhri – dimostrano che non è preoccupato dal raggiungere un accordo” sugli ostaggi, ma vuole “proseguire le trattative sotto i bombardamenti e il bagno di sangue” dei palestinesi.

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