di Annalisa Rosiello *

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza del 17 gennaio 2024, n. 1788/2024, ha chiesto alla Corte di Giustizia Europea, in via pregiudiziale, di pronunciarsi sulla corretta interpretazione da dare alle norme dell’ordinamento europeo nel caso di una lavoratrice che assiste un disabile convivente e se alla stessa spettino le stesse tutele previste per il lavoratore disabile, anche con riferimento agli oneri a carico del datore di lavoro di porre in essere delle soluzioni ragionevoli al fine di ripristinare parità di condizioni con gli altri colleghi ed evitare così che si realizzi indirettamente una discriminazione in ragione del suo ruolo di assistenza.

Nel caso concreto, infatti, la lavoratrice, madre di minore affetto da grave disabilità e dipendente di una nota società in house del territorio romano, aveva chiesto all’azienda prima e al giudice poi la concessione di un orario di lavoro fisso, non previsto per le mansioni dalla stessa ricoperte, al fine di poter accompagnare il figlio all’indispensabile fisioterapia programmata dal sistema sanitario nazionale.

La Corte di Cassazione ricostruisce sul piano giuridico e sociale la figura del caregiver, evidenziando che tale ruolo è generalmente assunto da familiare e che, molto spesso, è una donna e chiede l’intervento della Corte di Giustizia Europea, in quanto nelle norme interne manca (o comunque mancava all’epoca dei fatti di causa) il riconoscimento in favore del caregiver di una apposita tutela contro le discriminazioni indirette connessa alle funzioni assolte.

La Corte di Cassazione formula poi un ulteriore importante quesito, ovvero se in capo all’azienda sussista l’obbligo di adottare soluzioni o accomodamenti ragionevoli anche in favore del caregiver e infine, nel caso di risposta affermativa ai precedenti due quesiti, chiede alla Corte di Giustizia se la normativa antidiscriminatoria per ragioni di disabilità debba applicarsi “a qualunque soggetto appartenente alla cerchia familiare o convivente di fatto che si prenda cura, pure informalmente e in via gratuita, quantitativamente significativa, esclusiva e di lunga durata di una persona” con grave disabilità e non autosufficiente.

Le osservazioni della Corte di Cassazione muovono dalla Direttiva 78/2000/CE (artt. 2 e 5) e dalla sentenza “Coleman” della Cgue edita il 17.07.2008, laddove si sancisce il principio secondo il quale il divieto di discriminazione non è limitato solo alle persone disabili, ma anche al lavoratore che se ne prende cura e che, in ragione dei suoi doveri assistenziali, viene trattato in maniera sfavorevole rispetto a chi non si trovi in analoga situazione (discriminazione diretta, art. 2, par. 2, lett. a). Sicché, nella dinamica delle finalità perseguite dalla direttiva nell’accesso e nelle condizioni di lavoro, andrebbe applicato l’art. 5 (adattamenti ragionevoli) non solo al disabile lavoratore, ma anche al lavoratore che assiste il disabile, così che il caregiver non venga ostacolato nel pieno esercizio delle sue funzioni assistenziali e non venga ostacolata la piena ed effettiva tutela del disabile stesso.

Nell’attesa del pronunciamento della Corte di Giustizia, va comunque segnalato che l’art. 25 del Codice pari opportunità (d.lgs. 198/2006), come modificato dalla l. 162/2021, inquadra nella nozione di discriminazione ogni trattamento o modifica dell’organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell’età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti, pone o può porre il lavoratore in almeno una delle seguenti condizioni: a) posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori;…

Per via interpretativa si potrebbe sostenere, come già scritto in svariate occasioni anche su questo blog, che la nuova normativa (non applicabile al caso su cui è stata coinvolta la Corte di Giustizia perché non ancora in vigore all’epoca dei fatti) senz’altro estende anche ad altre situazioni di fragilità familiare l’obbligo di adattamenti ragionevoli; questo peraltro anche in ossequio alle previsioni dell’art. 2 della Costituzione (…la Repubblica… richiede l’adempimento degli inderogabili doveri di solidarietà politica economica e sociale), dei principi di correttezza e buona fede nell’adempimento del contratto e – ultima ma non certo per importanza – della normativa sulla salute e sicurezza e sullo stress lavoro-correlato (art. 28 TU 81/2008).

* L’autrice di questo articolo è una delle curatrici del blog. Qui la sua biografia

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