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“Il razzismo può dipendere anche da come sono organizzate le città”, lo studio su Nature

“Il razzismo può dipendere anche da come sono organizzate le città”, lo studio su Nature
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Il modo in cui le città sono organizzate, dalla densità di popolazione fino alla diversificazione degli ambienti urbani e il livello di segregazione delle diverse comunità, può influenzare, almeno in parte, la diffusione di comportamenti psicosociali, come i pensieri razzisti. A renderlo noto un nuovo studio, pubblicato sulla rivista Nature Communications, condotto dagli scienziati dell’Università di Chicago e del Santa Fe Institute Complexity Postdoctoral Fellow.

Il gruppo di ricerca, guidato da Andrew Stier e Luís Bettencourt, ha utilizzato un modello matematico per valutare il collegamento tra le reti sociali, la disposizione delle città e la diffusione delle ideologie razziste. I dati sono stati raccolti attraverso l’Implicit Association Test (IAT), un noto sondaggio somministrato online volto a esaminare l’esistenza di preconcetti. I partecipanti vengono infatti esposti a una coppia di volti bianchi e neri, insieme a un gruppo di lemmi, con accezioni negative e positive. Agli utenti viene richiesto poi di abbinare le parole ai volti visualizzati. “A volte – spiega Stier – anche se pensiamo di non avere pregiudizi, tendiamo a creare delle associazioni che implicitamente trasmettono ideologie razziste”.

Gli esperti hanno valutato le risposte di circa 2,7 milioni di individui residenti in varie zone geografiche. I risultati sono stati poi collegati alle informazioni demografiche e ai dati del censimento della popolazione. Gli scienziati hanno quindi realizzato un modello capace di valutare la relazione tra le reti sociali e il radicamento di pregiudizi di stampo razziale. Il gruppo di ricerca ha scoperto che il modo in cui le realtà urbane vengono sviluppate può influenzare la psicologia più di quanto si possa immaginare.

“Il nostro lavoro – riporta Stier – suggerisce che potrebbe esistere un elemento di razzismo sistemico che ha a che fare con il modo in cui le persone entrano in contatto tra loro”. Gli ambienti urbani possono favorire la formazione di fitte reti di interazione sociale, che spingono gli individui ad adattarsi alle nuove situazioni. Le reti più ampie e diversificate, sottolineano gli studiosi, erano associate a una probabilità meno elevata di diffusione di pregiudizi razziali.

Questo lavoro, commentano gli esperti, mostra che esistono ragioni strutturali per cui le città possono favorire o limitare i condizionamenti legati al razzismo. Le realtà urbane povere di spazi pubblici di aggregazione più cosmopoliti, allo stesso tempo, possono incoraggiare la segregazione dei diversi gruppi etnici. In questi casi, in effetti, le persone tendono a interagire sempre con le stesse comunità. Negli ambienti in cui le fasce di popolazione si riuniscono in modo più coeso, al contrario, la diffusione di pregiudizi razziali sembra meno rilevante.

“Il razzismo crea enormi ostacoli sociali – concludono gli autori – che possono pervadere tutti gli aspetti della vita, dall’assistenza medica all’istruzione, fino all’occupazione lavorativa e i rischi per la salute mentale e fisica. Speriamo che il nostro lavoro possa contribuire alla definizione di città più eque, orientate alla socializzazione e all’aggregazione”.

Lo studio

Valentina Di Paola

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