Da tempo sono colto dall’irrefrenabile desiderio di spegnere il televisore quando nel salotto serale di Lilli Gruber – Otto e Mezzo – appare il colorito malsano e il volto sfatto di Darth Vader senza maschera. L’ingombrante simulacro inizia a interrompere i presenti e snocciolare argomenti a capocchia, le sue labbra si piegano in una smorfia beffarda, e allora capisco che a invadere lo schermo non è lo scherano dell’impero, bensì niente meno che Mario Sechi. Ossia il primo dei goalkeepers, i portieri del team presieduto dall’editore Antonio Angelucci, con il mandato di parare qualsivoglia argomentazione critica nei confronti della premier Giorgio Meloni; la puffetta mannara ossessionata dalla ricerca della propria mascolinizzazione.

Compito a cui il direttore di Libero, schierato (a parte un breve innamoramento per Mario Monti, che non denota particolare lungimiranza politica) in permanenza a destra nelle sue variegate colorazioni, ma sempre forcaiole/rissaiole, si dedica con una tale passione che oltrepassa abbondantemente l’impegno professionale. Tanto da indurre la sensazione che i suoi chicchirichì siano analoghi a quelli del professore Immanuel Rath dell’Angelo Azzurro, pronto a lanciarli in totale sprezzo del ridicolo pur di compiacere la donna fatale Lola Lola. E se nella pièce cinematografica, diretta nel 1930 da Josef von Sternberg, la bella era Marlene Dietrich, ora l’oscuro oggetto del desiderio senile sarebbe Giorgio/a Meloni?

D’altro canto ogni occasione è buona per consentire al Sechi di manifestare la propria devozione. Come lunedì scorso, quando nel talk show di prima serata de La7 si parlava dell’ignobile vicenda della nostra connazionale Ilaria Salis, prigioniera da un anno nelle carceri ungheresi per non si sa bene quale reato, e nel frattempo sottoposta a condizioni sub-umane (dagli incatenamenti alla convivenza con le cimici; una salute sempre più precaria priva di assistenza medica). E il sosia di Darth Vader si premurava di lanciare la palla nella tribuna negazionista per evitare si ricordasse che il Primo Ministro di un’Ungheria regredita alla barbarie è quel Viktor Orban amicone del/della Meloni (ossia chi se la prende con l’amichettismo altrui). Un caso di ferocia mediatizzata che fornisce il rimbalzo all’incrudelimento della comunicazione destrorsa; nell’imbarazzante gara relativa tra la Lega salvinizzata e i giannizzeri meloniani. Gli uni che si inventano video sulle aggressioni della maestra Salis neppure presente e solidarizzano con gli aguzzini ungheresi (“se è ammanettata qualcosa deve aver fatto”), gli altri che scambiano strumentalmente vantaggi elettorali con prese di posizioni le più estemporanee possibili (vedi il cognato ministro Lollobrigida che prova ad ammansire gli agricoltori in sciopero denunciando “fuori di testa” l’Ue di Ursula von der Leyen con cui il suo datore di lavoro e parente, in fregola da accreditamento, va ostentatamente a braccetto).

Difatti quello di Sechi è solo il caso estremo di annichilimento della discussione (a Roma la chiamano “buttarla in caciara”) per silenziare la controparte, senza il minimo interesse per l’annunciato approfondimento. Missione a cui sono precettati un po’ tutti gli esponenti filo-governativi; all’opera per pure e semplici (e pure palesi) azioni di disturbo per bloccare le tesi sgradite. Sempre di più usciti dal bigoncio di Libero: oltre all’inquietante Sechi, la smarrita e sempre in imbarazzo Brunella Bolloli o l’ammiccante Francesco Specchia. Cui – di volta in volta – si aggiungono la tracotanza dell’ex politico finiano passato alla corte di Fratelli d’Italia Italo Bocchino o il maestro del sofisma cavilloso Alessandro Sallusti. Il perfido a tassametro Pietro Senaldi.

Svergognati sempre in tiro, secondo ben precisi ordini di scuderia, a prescindere da eventuali (qualora ci fossero) opinioni personali. Nel caso, da celare accuratamente. Appunto, gente che va in televisione soltanto per gorgogliare borborigmi che giustifichino l’insindacabilità della parte da cui si riceve il meritato emolumento. E creare un gorgo melmoso in cui precipitare il dibattito pericoloso. Dopo di che avrebbero pure la faccia tosta di pretendere il riconoscimento della propria professionalità. E l’annesso rispetto. Al massimo gli si potrebbe riconoscere il merito di aver confermato il principio tutto italico che la linea più breve per unire due punti argomentativi è l’arabesco.

Si può pure capire l’esigenza della testata di invitare mazzieri di destra nei talk show per assicurare alla trasmissione un’apparenza pluralistica molto politicamente corretta. Ma dato che le cose stanno come stanno, non sarebbe preferibile escludere cagnacci del centrocampo che partecipano solo per abbaiare, fare catenaccio e – alla disperata – creare mischioni? Se non altro per il superiore rispetto verso l’audience.

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