E’ giusto che Anna Maria Bigon sia stata rimossa da vicesegretaria provinciale del Pd veronese, al di là dei lamenti e delle invocazioni al diritto al dissenso, che qui non c’entrano nulla se solo si vede di cosa si trattava: e cioè di una legge che voleva imporre tempi certi di risposta alle autorità sanitarie nei casi in cui un paziente ridotto in condizioni di sofferenze insopportabili chiede di accedere alla possibilità del fine vita.

Ebbene, Bigon non si doveva esprimere sulla liceità della pratica, ma sull’esigenza di una risposta celere, fosse un sì o fosse un no. Quindi appare del tutto pretestuosa l’accusa di non voler rispettare la scelta etica del singolo e l’appello alla libertà di coscienza. Che c’entra molto poco. Bigon rimane nel partito da cui nessuno la caccia, e vorrei vedere, però non può fare la vicesegretaria provinciale, anche perché il Pd le aveva chiesto di uscire e di non partecipare al voto, cosa che lei da dirigente di quello stesso partito ha evitato accuratamente di fare.

Ha ragione il segretario provinciale che l’ha destituita, pare nella totale assenza di interlocuzione con il Nazareno: se si hanno incarichi di responsabilità e c’è un rapporto fiduciario, un comportamento come quello di Bigon (che – ripeto – poteva uscire dall’aula ma non l’ha fatto, impuntandosi nell’esprimere un voto che sapeva avere un peso determinante) non poteva restare senza conseguenze vista la carica direttiva che la consigliera ricopriva. Gridare al processo pubblico, alla lapidazione o minacciare autosospensioni mi sembra del tutto sproporzionato e fuori luogo. A meno che non si voglia creare apposta il ‘caso’ per motivi che qui non voglio nemmeno immaginare e che mi rifiuto di immaginare, magari per mettere in difficoltà la segretaria. E’ solo un brutto passaggio a vuoto di una consigliera che forse ha meditato poco sulla sua scelta in aula e sul suo ruolo nel partito.

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