“La legge non cambiava il corso delle cose, il fine vita è già autorizzato da una sentenza della Corte Costituzionale. La legge non sarebbe servita, come avevo già detto in precedenza. Mi spiace che qualcuno abbia dato une lettura errata, ovvero che la legge discussa in Veneto ‘istituiva il fine vita’”. È evidente il tentativo di salvarsi in corner di Luca Zaia, dopo il voto che ha bocciato la legge regionale sul “suicidio medicalmente assistito. Perché dalla lunga maratona a palazzo Ferro Fini a Venezia sicuramente il governatore esce ridimensionato. Il Veneto, in caso contrario, avrebbe fatto da apripista sul tema dei diritti che in casa della Lega di Matteo Salvini non ha mai suscitato grandi entusiasmi. Sarebbe stato un modo per differenziarsi, anche se Zaia ha affrontato la vicenda con la consueta circospezione che dedica alle questioni insidiose.

Non ha negato di aver sposato la causa, se non altro per convinzione personale: “Rispetto l’idea di tutti, ma se toccasse a me vorrei decidere io”. Però ha messo le mani avanti fin da subito: “Io non sono il portabandiera di questo progetto”, ha spiegato, onde evitare contraccolpi in caso di bocciatura. E ha ricordato che l’iniziativa è nata dal deposito di 9.000 firme di cittadini, non si è trattato, quindi, di una iniziativa politica. Poi ha messo in atto una seconda prudenza, riferita al fuoco incrociato di obiezioni sulla legittimità di legiferazione regionale (anche se in chiave sanitaria) su un tema di portata generale. “Io non so se questa proposta di legge sia costituzionalmente sostenibile”. Poi ha completato le cautele, mettendosi al riparo da possibili defezioni interne alla Lega: “In ogni caso lascio assoluta libertà di scelta etica, perché questa non è una questione di partito”.

L’esito finale ha dimostrato che il consiglio regionale del Veneto si è spaccato. Allo stesso modo si è divisa la maggioranza di centrodestra a trazione leghista. Questo è il risultato più negativo per Zaia, che non è riuscito a tenere unita la propria parte su una norma per la quale si era esposto, anche se non è politicamente identitaria. Allo stesso tempo ha visto la maggioranza (e non solo la Lega) tagliata in due come una mela, il che la dice lunga sugli scenari che si apriranno in Veneto quando il centrodestra affronterà le scelte e le candidature del dopo-Zaia (a meno che non ottenga il via libera al quarto mandato).

Un solo voto mancante per l’approvazione della norma è però anche una sconfitta delle opposizioni, seppur con la motivazione del libero convincimento. La consigliera del Pd Anna Maria Bigon si è astenuta. Avesse votato a favore, la legge sarebbe passata. Pare che le fossero arrivate pressanti richieste di adeguarsi alla linea, ma la consigliera ha dichiarato in aula: “Zaia sa benissimo che la competenza è statale e l’unica cosa che possiamo fare è investire sulle cure palliative. Io avevo presentato un emendamento al Bilancio per potenziare quelle cure, erano 20 milioni, ma è stato bocciato!”.

Uno strappo che non poteva non avere conseguenze. La capogruppo dem, Vanessa Camani, ha dichiarato: “Come Pd abbiamo sostenuto convintamente questa proposta. Emerge il dato politico relativo al fatto che le parole e le indicazioni del presidente Zaia siano cadute nel vuoto da parte di oltre la metà della sua maggioranza: una spaccatura profonda che non può essere giustificata dalla libertà di coscienza e che sta alla base dello stop alla legge”. Guardando all’interno, ha aggiunto: “Siamo molto dispiaciuti per il voto espresso dalla consigliera Bigon, alla quale abbiamo riconosciuto piena legittimità e libertà. Detto ciò, il rammarico sta nel fatto che la consigliera, pur consapevole che il suo voto avrebbe fatto da ago della bilancia, cosa che le è stata ricordata, non abbia optato per una scelta diversa. Dimostrando così un atteggiamento non rispettoso e che acuisce le distanze all’interno del gruppo”.

Esultano gli intransigenti. Ad esempio il consigliere leghista Stefano Valdegamberi: “Finisce la sua corsa il progetto di legge popolare su eutanasia. È ritornato il buon senso”. O i fedelissimi di Pro Vita & Famiglia che hanno utilizzato camion-vela per mostrare Zaia che si toglie la giacca, sotto la quale c’è una maglietta con la scritta “Pd”. La scritta è eloquente: “Agente 00Zaia, uno di sinistra sotto copertura”. Seguita da un ammonimento: “Se approvi il suicidio assistito tradisci i tuoi elettori. Ce ne ricorderemo!”. Un comunicato minaccia di dirottare i voti dei cattolici intransigenti verso Fratelli d’Italia alle prossime elezioni.