Non passa in Veneto la legge di iniziativa popolare perché siano garantiti tempi certi (non più di 27 giorni) a chi chiede il suicidio medicalmente assistito. E non passa nonostante il sostegno dichiarato del presidente leghista Luca Zaia. Il voto della norma, sostenuta dall’associazione Coscioni, non ha passato i primi due dei cinque articoli complessivi, che richiedevano la maggioranza assoluta. Il secondo, in particolare, è un articolo fondamentale della legge, per cui il presidente Roberto Ciambebetti ha proposto il rinvio in commissione, poi approvato dall’assemblea. Sul tema si è spaccata la maggioranza del centrodestra: Fdi e Fi hanno infatti votato contro, mentre il governatore e parte della Lega si sono schierati a favore insieme alle opposizioni. “Mi spiace che qualcuno abbia dato une lettura errata, ovvero che la legge discussa in Veneto ‘istituiva il fine vita’”, ha commentato a caldo Zaia: “Non istituiva niente, ma stabiliva solo i modi e i tempi delle risposte ai malati, e le modalità di coinvolgimento delle Asl”, ha aggiunto all’Ansa il governatore.

Il Veneto è stata la prima Regione a votare sulla proposta di legge di iniziativa popolare, facendo da apripista. E il voto era molto atteso perché sostenuto proprio da un leghista che, anche se ha fatto di tutto per ribadire che non si trattava di un voto di fiducia nei suoi confronti, di fatto si è esposto su un tema molto delicato soprattutto a destra. E non ha ottenuto il sostegno sperato. Proposte simili sono già depositate anche in altre Regioni: Sardegna, Basilicata, Lazio, Friuli Venezia Giulia – qui il collega di partito di Zaia, Massimiliano Fedriga, è però tra i contrari.

Come si è arenata la legge in Veneto – Sia il primo che il secondo articolo hanno in particolare ottenuto 25 voti favorevoli, 22 contrari, un astenuto e un consigliere assente. Il presidente Ciambetti, dopo una breve riunione dell’ufficio legislativo del Consiglio, ha quindi messo ai voti il rinvio in Commissione del testo, approvato con 38 sì e 13 assenti. Il progetto di legge, ha spiegato Ciambetti, diventerà “ordinario” e non avrà i tempi contingentati, come invece prevede lo Statuto a proposito delle proposte di iniziativa popolare. Sia il primo che il secondo articolo hanno in particolare ottenuto 25 voti favorevoli, 22 contrari, un astenuto e un consigliere assente. Proprio Zaia aveva assicurato il suo sostegno solo se la legge fosse rimasta senza emendamenti: ricominciando da zero il percorso, cambierà anche la posizione dei singoli paritti.

L’intervento di Zaia in Aula in sostegno della legge – “Ero in Parlamento quando Beppino Englaro chiese di staccare le macchine a sua figlia”, è stato l’esordio del presidente leghista durante la discussione in consiglio regionale. “Eluana morì perché la sentenza di un Tar decise di dare l’ok alla sospensione dei sostegni vitali. Con una legge nel 2017 si sono poi introdotte in questo Paese le disposizioni anticipate di trattamento, e ciascun cittadino italiano può andare allo Stato civile del proprio Comune o da un notaio, stabilendo quali saranno i livelli di cura massima sostenibili che potrebbe accettare. Poi è arrivata la sentenza che introduce il tema che oggi discutiamo”. I sanitari e i comitati etici delle Ulss, ha quindi sottolineato Zaia “sono chiamati a dare risposta in virtù di questa sentenza, che dice che se il malato terminale ha diagnosi infausta, e se è in vita solo grazie a supporti vitali, si può recare dal suo medico di base, e il comitato medico dell’Ulss gli dovrà dare risposta. Noi ci stiamo muovendo in questo contesto”, ha concluso. “Oggi non autorizziamo un bel niente. Al di là di quello che si è detto a livello nazionale, discutiamo un progetto che introduce dei tempi e il ruolo della sanità. Al momento abbiamo cinque richieste rigettate e due accolte, una delle quali non per un malato terminale, ma per una condizione particolare, quella di Stefano Gheller”. E ancora: “È immorale che un Paese gestisca un tema così profondo con una sentenza della Corte Costituzionale“.

Il Pd a favore, i malumori nella maggioranza – Zaia ha ribadito in tutti i modi di non aver voluto dare indicazioni di voto ai suoi, visto il tema etico. In suo sostegno, con un asse inedito, sono arrivate le opposizioni. E in Aula, si è schierata anche la capogruppo del Pd Vanessa Camani. Che non ha mancato di protestare con la politica nazionale: “Nella legge sul fine vita c’è la volontà di lanciare un segnale politico chiaro, che sia forte, al Parlamento italiano, rispetto alla necessità, direi all’urgenza, di dotare il Paese di una legge organica sul suicidio medicalmente assistito”. Secondo Camani “noi oggi, ma anche la Corte costituzionale con molto più potere di noi, stiamo intervenendo su questo tema perché chi avrebbe il dovere e il potere di farlo, cioè il Parlamento, non lo ha fatto fino ad ora. Un’inerzia che giudichiamo grave, a cui è indispensabile porre rimedio quanto prima”. Anche i dem hanno avuto le loro defezioni (la prima è stata Anna Maria Bigon).

A sabotare la legge è stata però la stessa maggioranza di Zaia. “Non è un progetto di legge del nostro programma di governo, viene da fuori, per questo non abbiamo dato una linea di voto” ha detto il capogruppo della Lega, Alberto Villanova. Zaia non ha mai nascosto la sua posizione sul suicidio medicalmente assistito: “Viene detto impropriamente ‘suicidio assistito’ – aveva dichiarato recentemente Zaia – io parlerei di riconoscimento del percorso di fine vita, che è più rispettoso. Non sono qui a promuovere il fine vita, ma un fatto di civiltà, un diritto che deve essere garantito. Se succedesse a me vorrei poter decidere”. E concludeva: “Inviterei a non dare contenuti politici a questo voto, perchè per noi non ne ha”. Anche alcuni big del partito però, hanno preso le distanze nelle scorse ore: “Non ho cambiato idea: lo Stato non deve aiutare a morire ma a vivere nelle migliori condizioni possibili, assicurando a tutti ogni cura”, si era affrettato a dire il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari. Ma “il no assoluto” al pdl sul fine vita, ha precisato, “non è un voto su Zaia”.

Quello del suicidio assistito è un tema che coinvolge emotivamente la Regione e non solo. In Veneto è nota la battaglia che da tempo sta conducendo Stefano Gheller, il paziente vicentino affetto da distrofia muscolare che per primo ha ottenuto la verifica delle sue condizioni e il parere favorevole dell’Asl ad accedere – quando lo deciderà – al suicidio assistito. E ha destato molta emozione la vicenda di “Gloria”, una paziente oncologica veneta, di 78 anni, che il 24 luglio scorso era stata accompagnata da Marco Cappato in una clinica svizzera per ottenere la “morte volontaria”.

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