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Gruppo filo-Iran rivendica l’attacco alla base Usa in Giordania. Ma Teheran nega ogni coinvolgimento

Gruppo filo-Iran rivendica l’attacco alla base Usa in Giordania. Ma Teheran nega ogni coinvolgimento
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La coalizione filo-iraniana Resistenza islamica in Iraq rivendica l’attacco con droni che domenica ha colpito un avamposto militare strategico americano in Giordania, ma da Teheran arriva la smentita che a ideare il raid sia stata la Repubblica Islamica. Dichiarazioni, quelle del regime degli ayatollah, che allontanano almeno per il momento il rischio di una più grave escalation, con il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti in un conflitto mediorientale contro il cosiddetto Asse della Resistenza. Non è comunque il primo attacco, anche negli ultimi mesi, a basi e strutture americane nell’area per mano di milizie legate all’Iran, ma il bilancio particolarmente pesante, con tre soldati uccisi, ha subito fatto crescere il timore di un allargamento del conflitto a Gaza.

Il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Nasser Kanaani, tiene a precisare che “queste accuse sono mosse con un obiettivo politico volto a ribaltare la realtà della regione” e ha definito “infondate” le parole del segretario di Stato per gli Affari Esteri britannico, David Cameron, sul coinvolgimento del Paese degli ayatollah: “Tali dichiarazioni e azioni non costruttive da parte di fonti istituzionali occidentali stanno minacciano la pace e la stabilità regionale e internazionale – ha aggiunto – I gruppi di ribelli nella regione stanno rispondendo ai crimini di guerra e al genocidio del regime sionista e non prendono ordini dall’Iran. Loro decidono in base ai proprio principi e nell’interesse del proprio popolo”.

La posizione del sito, la Tower 22, spiega come un attacco del genere sia stato possibile in territorio giordano. Si tratta di un avamposto americano situato nel regno hashemita, ma esattamente al confine con Siria e Iraq. Questo ha subito aperto all’ipotesi che, quindi, a colpirlo non siano stati gruppi o cellule terroristiche presenti nel regno hashemita, storicamente alleato di Washington, ma milizie operanti nei due Paesi piegati dalle guerre civili e dalla lotta al terrorismo, dove operano sia organizzazioni estremiste di stampo sunnita sia milizie sciite legate, appunto, all’Iran che già in passato hanno attaccato avamposti americani.

Domenica, il presidente Joe Biden ha dichiarato che le indagini sono ancora in una fase iniziale, “ma sappiamo che (l’attacco, ndr) è stato effettuato da gruppi militanti radicali sostenuti dall’Iran che operano in Siria e Iraq”. E ha poi promesso che gli Usa porteranno avanti “il loro impegno nella lotta al terrorismo. Chiederemo conto a tutti i responsabili nel momento e nel modo che sceglieremo”. In cosa consisterà questa risposta non è ancora chiaro: come in passato, è possibile che i militari compiano operazioni mirate per colpire centri di comando e leader delle milizie considerate responsabili dell’attacco. Più improbabile, almeno al momento, che si arrivi a uno scontro diretto con Teheran, sia perché questo porterebbe alla definitiva esplosione di una guerra in tutto il Medio Oriente con il coinvolgimento delle forze Nato, sia perché non esiste la volontà politica dell’amministrazione Biden di aprire un terzo scenario di guerra a meno di un anno dalle elezioni presidenziali.

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