I contenuti della polemica avviata dal ministro Salvini contro i sostenitori della “Città 30” sta facendo emergere, in modo trasversale, una rivoluzionaria scoperta: l’acqua calda.

Da un lato c’è Salvini che, per contrastare la spinta verso l’estensione a catena delle Zone 30 in diverse città italiane (anche quelle amministrate dalla Lega), annuncia l’applicazione di provvedimenti già esistenti e applicati da alcuni decenni: ovvero che le Zone 30 vanno delimitate in determinati ambiti urbani, individuate sulla base delle caratteristiche del territorio e sostenute da un’adeguata motivazione legata alla gerarchizzazione della rete stradale urbana. Limitandosi a contrastare la Città 30 senza proporre nulla, Salvini conferma di non avere alcuna strategia per migliorare e rendere più sicura la mobilità urbana. E fin qui nulla di nuovo.

Dall’altro lato, leggo che alcuni sostenitori della “Zona 30” la elevano a panacea risolutiva di tutti i mali della mobilità urbana, ripetendo a memoria uno slogan efficace: una collisione a 30 km orari produce a una persona meno danni rispetto a una collisione a 50 o 70 km orari. Dato fisicamente incontrovertibile: pare che, secondo alcuni recenti rivoluzionari studi, anche una caduta da un metro di altezza produca meno danni rispetto a una caduta da 5 metri.

Forse è il caso di riportare il discorso a contenuti razionali, partendo dal termine anglosassone “Traffic Calming” coniato negli anni Novanta dall’Ite (Institute of Transportation Engineers) di Washington; un termine noto agli studenti del primo anno in pianificazione dei trasporti e sintetizzabile in due obiettivi prioritari: ridurre la velocità e ridurre il volume del traffico urbano in città. Due obiettivi distinti ma indissolubilmente connessi che devono marciare insieme, altrimenti ci limitiamo a slogan e aria fritta.

Nella scala gerarchica delle priorità di intervento per rendere più sicura e vivibile la mobilità urbana, al primo posto troviamo sempre la riduzione del dominio dell’automobile sulle strade, recuperando spazio urbano per la mobilità pubblica, pedonale, ciclabile e per la socialità; il trasferimento del traffico di attraversamento al di fuori delle aree residenziali e pedonali; la riduzione sensibile della velocità; la riduzione di rumore, vibrazioni e inquinamento atmosferico. In questo modo le misure di Traffic Calming sono in grado – se avviate in modo integrato e contestuale secondo un piano d’azione organico – di ridurre la gravità e il numero degli incidenti stradali, garantendo un ambiente più sicuro, favorendo la mobilità e una fruizione più piacevole dello spazio urbano.

Che in Italia, soprattutto nelle grandi città come Milano, la riduzione dei livelli di traffico urbano debba diventare un obiettivo politico prioritario, colpevolmente dimenticato da amministrazioni locali di vario colore, emerge dai dati dell’Unione Europea relativi al rapporto fra incidentalità e tasso di motorizzazione in ambito urbano. Dati che pochi leggono, comprensibilmente, altrimenti anziché parlare sarebbero costretti ad agire.

Installare un palo o verniciare l’asfalto con la scritta “30” costa sicuramente meno in termini economici e di consenso elettorale. Ma le città europee più avanzate in tema di “Città 30”che oggi vengono portate ad esempio sul fronte della sicurezza stradale (Amsterdam, Copenaghen, Londra, Parigi, Lione, Berlino) non si sono limitate a questo: hanno preventivamente ridotto il traffico urbano, sottraendo spazio fisico alle auto per rendere più efficiente e capillare la rete di mobilità pubblica di superficie, potenziando e rendendo più sicuri gli itinerari ciclabili e pedonali. Così hanno costruito la “Città 30” che funziona.

Per capire di cosa parliamo: Milano ha un tasso di motorizzazione di 510 auto ogni 1000 abitanti (inclusi bambini e anziani, e senza contare il traffico dell’hinterland); Amsterdam 230, Lione 240, Parigi 250, Copenaghen 300, Londra 310, Berlino 340.

Questo dato si combina con una rilevazione resa pubblica dalla Commissione Europea, relativa all’incidentalità stradale: l’Italia è il peggiore tra i paesi storicamente definiti come “i più avanzati d’Europa”: peggio dell’Italia in materia di sicurezza stradale e incidentalità ci sono solo Ungheria, Bulgaria, Romania.

In sintesi: la “Città 30” si costruisce attraverso diverse misure locali, la principale delle quale è la riduzione del carico di traffico urbano e la liberazione di spazio pubblico a favore della mobilità alternativa. Altrimenti rimane uno slogan utile solo per operazioni di marketing a cachet. Non facciamo questo regalo al ministro Salvini.

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