Siamo di fronte a un’emergenza tanto grave quanto ignorata dal sistema di comunicazione mainstream e ancor più dal sistema politico. Essa ha a che fare con i danni prodotti dall’Intelligenza artificiale, e in generale dall’uso/abuso delle tecnologie digitali, in particolar modo sui ragazzi più giovani (ma anche sugli adulti), sul sistema scolastico ed educativo in genere nonché su delle società occidentali che stanno ormai smarrendo anche gli ultimi riferimenti etico-culturali.

In particolar modo la comparsa dell’Intelligenza artificiale creativa sta assestando il colpo di grazia nei confronti di una comunità studentesca che – in media – non legge più libri o manuali, non esercita un pensiero autonomo e critico, né sembra più capace di creare contenuti autonomi senza ricorrere alla capacità generativa degli algoritmi di ChatGpt.

Ciò non è soltanto alla base di un forte disagio cognitivo ed emotivo che evidentemente riguarda la galassia Scuola nel suo insieme, se è vero che uno studio recente attesta che i suicidi fra i giovani sono aumentati del 75%, con motivazioni che vanno dalla vulnerabilità emotiva allo “stile cognitivo deviato”; mentre un altro studio condotto dal più importante esperto di burnout in Italia racconta che negli ultimi dieci anni si è ucciso un professore al mese, non soltanto per le condizioni materiali precarie e miserevoli, ma anche per uno stress accumulato insostenibile, spesso generato dal doversi interfacciare con dei ragazzi il cui rapporto ossessivo con le tecnologie li ha visti subire una mutazione antropologica.

L’emergenza cognitiva ed emotiva è sotto gli occhi di tutti coloro che non hanno interesse a chiudere gli occhi, e andrebbe affrontata con mezzi e risorse adeguate. Occorrerebbe una riforma scolastica degna di questo nome, che per esempio includesse la formazione critica dei ragazzi rispetto a delle tecnologie che stanno monopolizzando e degradando tanto le loro menti quanto i loro sentimenti. Sarebbe inoltre necessaria una Politica (con la maiuscola!) che smettesse di sciacquarsi la bocca con l’espressione “cultura” e tornasse a investire materialmente su di essa, specie in un paese come il nostro in cui i dati sulla lettura di quotidiani, riviste scientifiche e saggistica sono deprimenti.

Farebbe ridere, se non facesse piangere, la scandalizzata sorpresa dei media e degli osservatori sulla persistenza di una cultura razzista, discriminatoria e sessista nel nostro paese (negli stadi, nei luoghi istituzionali, nella società tutta), quando la nostra classe politica per prima è composta da elementi impreparati, imbarazzanti, spesso fuorilegge e pronti a impegnarsi molto più sulla difesa dei propri interessi di lobbing che sul bene pubblico di un paese sempre più in affanno.

O quando le prime pagine dei giornali si concentrano perlopiù sui 30 km orari di velocità massima in città, su fatti di cronaca tanto cruenti quanto inutili sul piano della formazione di un’opinione pubblica degna di questo nome, sulle scempiaggini pronunciate o compiute da questo o quell’altro personaggio pubblico impresentabile, da questo o quell’altro influencer che lavora sul nulla salvo spesso truffare (questa l’accusa, ndr) i propri follower e la società tutta.

A queste condizioni risulta impossibile contrastare un’Intelligenza artificiale programmata non per eguagliare quella umana (un mito ormai sfatato da tempo), ma per degradarla e sostituirla gradualmente nella beata indifferenza di una classe politica e mediatica che non sa, non capisce o comunque volta lo sguardo dall’altra parte per non rischiare di intralciare il più grande business economico del nostro tempo.

Come sostiene la studiosa australiana Kate Crawford nel suo illuminante Atlas of AI. Power, Politics, and the Planetary Costs of Artificial Intelligence (Yale University Press), l’Intelligenza artificiale non è né intelligente né artificiale. Piuttosto si tratta di un sistema materiale programmato da soggetti imprenditoriali per “servire gli interessi dominanti”. Quelli che stanno più dalle parti della finanza e del commercio che non della politica o dell’informazione. Ma che anzi riducono queste ultime due a strumenti per completare il “miracolo” – alla faccia dell’emergenza cognitiva ed emotiva – di ridurre al grado zero una popolazione tanto degradata quanto manipolabile.

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