di Alfredo Giordani*

Le associazioni per la prevenzione stradale e le mobilità sostenibili scontano da sempre, nei confronti delle istituzioni, la Sindrome da recinto improduttivo di massa. Ovvero veniamo periodicamente convocati presso Consulte, Commissioni Parlamentari, Prefetture, assessorati, Tavoli e Osservatori vari dove ci è gentilmente concesso di esporre le nostre considerazioni e proporre studi e soluzioni sul grave e delicato fenomeno della strage motoristica. Salvo poi vederli cadere nel vuoto, inascoltati.

Ricordiamo che il nostro obiettivo è, e deve essere, fare sì che vengano inviati subito dei soccorsi che possano evitare alle 9 persone (media vittime anno 2022, dati Istat) di trovare la morte solo a causa della necessità di muoversi da un qualsiasi punto A a un qualsiasi punto B sulla superficie del nostro Paese, con un veicolo o a piedi.

Non possiamo non segnalare, incidentalmente, come in Italia il soggetto istituzionale che si occupa di sicurezza stradale sia il ministero delle Infrastrutture e Trasporti, colui che progetta e realizza strade, autostrade e opere viarie. Noi vediamo in questo un pericoloso e beffardo paradosso, ovvero come se a occuparsi di arte culinaria non fossero cuochi e chef ma i costruttori di pentole e cucine, come se a occuparsi di questioni di intimità e rapporti di coppia non fossero sessuologi e psicologi ma costruttori di letti e aziende di abbigliamento intimo. E i risultati di questa scarsa competenza si vedono quotidianamente.

In Spagna, ad esempio, è il ministero degli Interni ad occuparsi di sicurezza stradale, mentre in Francia è un Consiglio interministeriale sulla sicurezza stradale (Cisr) e in Germania il Consiglio Tedesco per la Sicurezza Stradale (Deutscher Verkehrssicherheitsrat). Inutile dire che là i risultati sono nettamente migliori.

Ad oggi Il Governo non ha saputo fare di meglio che delegare alle Camere soluzioni dichiarate urgenti, ovvero rinviare a nuove leggi, tra l’altro di molto dubbia efficacia, gli interventi a contrasto di un fenomeno sociale della gravità e dell’urgenza della sanguinosa strage stradale. Si pensa di intervenire per luoghi comuni come alcol, droghe e cellulari quando il peggior elemento di distrazione è di natura endogena e non esogena. Soprattutto a causa del fattore psicotropo della guida, da affrontare con formazione specifica e limitandone le conseguenze con la moderazione della velocità. Si parla di formazione ed educazione, temiamo incentrate, come sempre e in modo inefficace, su competenze nozionistiche riguardo norme di guida e capacità tecniche di gestione del veicolo.

Assistiamo inoltre increduli a una colpevole crociata sull’“uso abusivo” attribuito agli strumenti elettronici di controllo velocità come installati dagli enti locali. Come stupirsi per il vandalismo di cui sono fatti oggetto questi strumenti, in questo periodo soprattutto nel nord Italia?

Tornando al tentativo di risolvere la questione stradale con nuove norme, riviviamo la tragedia del mito del reato di omicidio stradale, quando provammo ad avvertire tutti, politica e associazioni, che il reato non avrebbe avuto funzione deterrente sui comportamenti stradali a rischio. Il risultato devastante è che dal 2016, data di introduzione della nuova fattispecie di reato (governo Renzi), abbiamo continuato a rilevare decine di migliaia di vittime sulle strade in quanto per le vere soluzioni non c’era mai spazio.

E veniamo alla diatriba sul controverso principio delle città 30. Chiediamo ai sostenitori delle città 30 per un verso e al governo per un altro: prima di introdurre nuove norme non sarebbe il caso di dimostrare sia di avere la volontà e sia di essere capaci di imporre articoli decisivi della normativa già vigente? Viviamo un paradosso criminale (registrate oltre 30.000 vittime sulle strade negli ultimi 10 anni in Italia) a carico di tutti i governi nel tempo coinvolti, per cui ancora non ci è dato sapere, a tutt’oggi, se i limiti canonici potrebbero funzionare ai fini della sicurezza, perché nessuno è stato mai in grado di imporli efficacemente. Dobbiamo risalire al 2006, quando l’introduzione dei controlli di velocità media con Tutor, Vergilius e altri dispositivi analoghi sulle autostrade portò in 4 anni quasi al dimezzamento dei morti sulla rete autostradale (da 534 vittime nel 2006 a 292 del 2009, dati Istat).

Sebbene la soluzione controlli velocità si è dimostrata e si dimostri ancora vincente ovunque praticata, oggi invece il ministro pensa di relegarli solo in punti particolari della città, come in prossimità delle scuole. Come associazioni di persone che hanno vissuto probabilmente la peggiore esperienza della vita, ovvero perdere i propri cari in un modo traumatico come lo schianto o investimento stradale, ci sentiamo umiliati e oltraggiati, condannati a rivivere eternamente il dolore ogni volta che scopriamo che il sacrificio estremo di una nostra persona si confermi ancora inutile e senza senso di fronte all’incapacità istituzionale.

Concludendo: le proposte urgenti, per salvare nell’immediato o a breve le nove vite che ogni giorno, in media, perdiamo sulle strade sono note da tempo: controllo velocità con dispositivo Scout speed o con Intelligent Speed Adaptation, sanzione mancata precedenza al pedone sulle strisce e contrasto alla sosta selvaggia. Il tutto reso più efficace e rinforzato da un’adeguata comunicazione su queste azioni effettivamente in corso. La soluzione città 30 deve procedere su un binario parallelo al poker delle 4 soluzioni su controlli immediati e attività di comunicazione alla cittadinanza. Città 30 va bene se sostenuta dall’altro binario imprescindibile della presenza di pattuglie e strumenti elettronici sulle strade.

Non ultimo, dobbiamo notare che in città si verificano circa il 40% delle vittime totali, mentre il restante 60% su autostrade e strade extraurbane. Pensiamo a soluzioni innanzitutto globali e immediatamente efficaci, poi al resto.

*Associazione Vivinstrada-Rete di Associazioni per la culture e la prevenzione stradale

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