Qualcosa ancora non torna nella vicenda dell’attentato ‘anomalo’ avvenuto nella Repubblica islamica dell’Iran che ha causato la morte di 100 persone e il ferimento di altre circa 240. Confuse e frammentarie le informazioni di cui oggi siamo in possesso. L’attentato è avvenuto il 3 gennaio durante la commemorazione del generale Qassem Soleimani, ucciso da un drone americano nella stessa data, nel gennaio del 2020. Un assassinio immediatamente rivendicato dagli Stati Uniti.

Il generale Soleimani era amato da una parte della popolazione iraniana, tanto che al suo funerale parteciparono decine di migliaia di persone. Allora, come oggi, era stata innalzata la bandiera rossa nella Santa moschea di Jamkaran, a sei chilometri dalla città santa di Qom, la bandiera rossa dell’Imam Hussein, nipote del Profeta a simboleggiare una vendetta senza precedenti. Simbolismi senza senso e soprattutto senza alcun seguito quelli del 2020, infatti da parte dell’Iran non ci fu nessuna rappresaglia per la morte del generale.

In questo quarto anniversario dalla sua morte, come ogni anno era stato organizzato il consueto pellegrinaggio al cimitero dei martiri di Kerman, nell’Iran centrale, dove si trova la sua tomba ma stranamente quest’anno, nessuno dei suoi familiari vi ha preso parte. Non era presente la figlia di Soleimani molto vicina alla Guida Suprema Khamenei e di tutti i civili periti nell’attacco non vi è notizia di alcun funzionario dei pasdaran o di altre importanti cariche politiche. Le immagini che sono arrivate subito dopo, da video indipendenti, mostrano i direttori di alcuni ospedali che raccontano di esser stati informati in precedenza di un possibile attentato e quindi pronti con le apparecchiature sanitarie.

Sempre dalle immagini dell’attentato si può vedere benissimo che la maggior parte delle persone che hanno perso la vita, fanno parte di quelle fasce più deboli della popolazione iraniana, tra di loro 22 studenti. Spesso molte di queste famiglie vengono invitate, a volte obbligate a partecipare alle iniziative del governo in cambio di un panino e una bibita, a volte addirittura pagate con qualche tomans e plagiate da anni, con confuse ‘ideologie khomeiniste’.

I dubbi sull’attentato sono molteplici, alimentati proprio dalla stessa Repubblica Islamica, che in un primo momento ha dichiarato con certezza lo scoppio di una bombola di gas, poi nella seconda versione di due esplosioni, la prima avvenuta attraverso una bomba all’interno di valigia e la seconda bomba posizionata all’interno di una Peugeot entrambe fatte esplodere a distanza.

I sospetti, secondo la Repubblica islamica, sono stati vaghi e contraddittori sin da subito. In un primo momento sono stati accusati gli Usa e Israele, come avviene ovviamente da 44 anni, poi i gruppi separatisti del Belucistan. Ma, in questo susseguirsi di accuse e smentite, è arrivata ben oltre le 24 ore (e non si capisce il motivo di tanta attesa) la rivendicazione dell’Isis che si è assunta la responsabilità dell’attentato. “Sono stati due nostri kamizake”, hanno affermato su un opinabile canale Telegram.

Ora ci chiediamo: e le bombe azionate a distanza? E la valigia che il regime aveva detto di aver trovato? Ammettiamo che nella confusione ci sia stato un problema di comunicazione, il fatto strano è che nonostante la rivendicazione dell’Isis, la Repubblica islamica ancora oggi continua a sostenere che dietro sempre e comunque ci sia Israele.

Potrebbe invece non essere così. Chi conosce bene l’Iran sa che orchestrare questo tipo di attentato nella Repubblica islamica non è affatto facile. Le telecamere in Iran purtroppo funzionano benissimo. Funzionano talmente bene che riescono anche ad identificare una donna in strada con o meno il velo islamico. Vuoi che non abbiano più volte controllato i pellegrini in fila per avvicinarsi alla tomba di Soleimani? Dico allora che un’altra ipotesi dovrebbe essere presa in considerazione: e se si fosse trattato di un attentato ideato e messo in atto dal regime stesso?

Qualche giorno fa ho esternato questo stesso mio pensiero su Twitter, rispondendo ad un post del collega Mariano Giustino, corrispondente di Radio Radicale in Turchia, che più o meno la pensa come me e dopo pochi minuti è arrivata una replica abbastanza inquietante. L’Ambasciata della Repubblica islamica a Roma, che di fatto è il regime stesso, mi ha accusata di commenti “irresponsabili e poco professionali”. Beh io sarò anche poco professionale, ma visto che l’Italia è un paese libero, mi riservo il diritto di esprimere una mia considerazione senza il rischio di venire arrestata. Il fatto stesso che l’ambasciata, invece di piangere le vittime causate dall’attentato, abbia il tempo di leggere e commentare i miei tweet, rende l’idea di quanto tutti siamo controllati anche qui in casa nostra e sinceramente mi fa pensare che non sono poi così lontana dalla verità.

Un regime che non si fa scrupoli nell’arrestare, violentare, frustare, spesso uccidere donne perché senza velo, o intossicare studentesse col gas nervino nelle scuole, è capace di tutto. Un regime che prima tortura, poi impicca e spesso non restituisce i corpi martoriati alle famiglie di giovani e pacifici manifestanti, è in grado di commettere qualsiasi crimine. Un regime criminale, che l’8 gennaio del 2020 ha volutamente colpito il volo dell’Ukraine International 752 procurando 176 vittime credo non abbia davvero alcuna esitazione nel far saltare in aria tutti insieme 100 ‘povere’ persone, con lo scopo di alimentare confusione e istigare a una vendetta.

Le vittime del volo PS752, oggi 8 gennaio, verranno ricordate a Roma proprio davanti l’Ambasciata della Repubblica Islamica dell’Iran dalle 14.00 alle 16.00 in Via Nomentana 361. Ed ovviamente non potrei essere altrove.

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