“Certamente gli stanziamenti del governo Meloni per la sanità pubblica sono troppo pochi, però siamo tutti focalizzati sugli scarsi finanziamenti. Il problema principale invece è un altro ed è culturale: noi dobbiamo capire e sforzarci di far capire che il Servizio Sanitario Nazionale è una fonte di stabilità economica e sociale. E io sono personalmente angosciato dal fatto di non essere riuscito a far comprendere questo”. Sono le parole pronunciate ai microfoni di 24 Mattino, su Radio24, da Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, analizzando e commentando le prospettive della sanità pubblica italiana nel 2024.

Il nefrologo sottolinea la necessità di più fondi, di più governance ma soprattutto di più consapevolezza dell’importanza della sanità pubblica: “Sicuramente non credo che si possa andare avanti con un sistema sanitario pubblico così sotto-finanziato. Pensate che in dollari noi spendiamo pro capite 2.500 dollari, i francesi 3.500, i tedeschi 6.000. Quindi, non è possibile avere un sistema sanitario competitivo con una spesa così piccola. Tuttavia, il problema maggiore in Italia è la difficoltà a far capire quanto sia importante il Servizio Sanitario Nazionale per il benessere di un paese – spiega – Una sanità pubblica funzionante moltiplica le risorse, perché ogni medico assunto poi trascina dietro assunzioni in tanti altri campi. Ed è una chiave per ridurre la povertà. Se andiamo verso la povertà, la gente si ammala e si innesca un circolo vizioso dal quale si rischia di non uscire più. Non c’è altra soluzione se non il servizio sanitario pubblico. Di questo si sono resi conto persino gli Usa dopo il Covid”.

Remuzzi aggiunge: “Una sanità pubblica funzionante aiuta anche la ricerca scientifica e contiene la fuga dei medici all’estero. Abbiamo bisogno di un servizio sanitario pubblico che coniughi medicina clinica e ricerca scientifica e che sia all’altezza della tecnologia di oggi, cosa che è possibile col Pnrr. Un altro punto di forza del Ssn è dato dalle case della salute, con cui si riesce a stare davvero vicino alla gente. Ma ci sono da qualche parte, non dappertutto.”.

Il medico spiega che nelle case di salute, presenti in alcune città della Lombardia, della Toscana, dl Piemonte e dell’Emilia Romagna, sono garantiti servizi come l’assistenza infermieristica a domicilio e la possibilità di fare prelievi, radiografie, ecografie: “Le case della salute funzionano benissimo in alcune zone e possono funzionare ovunque. Ed è possibile realizzarle dappertutto. Ogni giorno in queste case ci sono mediamente 800 accessi di pazienti, evitando così il sovraccarico dei Pronto Soccorso. Ma bisogna entrare nell’ordine delle idee di governare il sistema. E allo stato attuale – osserva – non c’è nessuno che si è preso a cuore questo, che è il problema più grande che abbiamo. Discutere tutti i giorni del taglio del cuneo fiscale non serve a niente se poi la gente non può pagare le medicine. Il piccolo vantaggio che uno ha dal taglio del cuneo fiscale o dal salario minimo sparisce perché poi deve comprare medicine costosissime”.

Altra criticità sollevata dal professore è la fuga dei medici all’estero perché pagati di più: “Vanno sicuramente aumentati gli stipendi di medici e soprattutto di infermieri, ma non è una gran cosa che l’unica motivazione di trasferimento sia quella dei soldi. Il nostro è un mestiere diverso dagli altri e richiede dedizione per i cittadini e per le persone più vicine. Trovo molto brutto che uno faccia il medico da noi e poi vada a curare le persone degli Emirati Arabi per guadagnare di più. Mi sembra, insomma, che dietro non ci sia alcun ideale”.

E ricorda il vero senso della sanità pubblica: “Quando è stato fondato il Servizio Sanitario Nazionale il 23 dicembre del 1945, si dicevano cose fantastiche del tipo: noi ci vogliamo occupare della salute fisica e psichiatrica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni sociali e secondo modalità per cui sia garantita l’uguaglianza dei cittadini. Dove è finito tutto questo? – prosegue – Oggi le persone del Sud devono venire al Nord per curarsi perché c’è questa idea che al Nord ti curano meglio. E non è vero o comunque non è sempre vero. Se continuiamo a perpetrare questa discrepanza tra i soldi disponibili al Nord e quelli disponibili al Sud, non risolveremo mai il problema. Non è accettabile questa cosa per chi ci governa”.

Infine, Remuzzi ribadisce il suo no all’intramoenia, come ha spiegato in più occasioni: “Va assolutamente tolta, perché molto probabilmente non rispetta neppure la Costituzione. Non bisogna girare attorno al problema, serve un ministro che la elimini, anche se si tratta di una decisione impopolare”.

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