Va parecchio forte ultimamente l’abitudine di indicare nemici, antagonisti, usurpatori o lati oscuri dell’esistenza senza tuttavia fornirne mai un identikit, fare nomi e cognomi od offrire quelle minime generalità utili a farsi un’idea, sviluppare un dibattito e prendere eventualmente anche una posizione. Lo fa la politica, col governo più vittimista di sempre, sempiternamente impegnato in una favolistica, mitologica battaglia non contro ben definiti oppositori, che nel fatto di specie non esistono, ma contro fantomatiche entità che assumono puntualmente le sembianze di incubi da favola per bambini, come il Nulla de La storia infinita, il film che non a caso ispira a Fratelli d’Italia anche il nome del suo annuale raduno, Atreju; lo fanno anche critici e commentatori che, senza evidentemente voler troppo disturbare o arrecare eccessivo fastidio, scrivono su prestigiosi organi di stampa di “tutta questa musica spazzatura” senza tuttavia indicare mai un genere, una canzone, un autore, un’etichetta o, eventualmente, alle brutte, esaurita ogni altra risorsa, come nel gioco Indovina chi procedere per esclusione.

Non lo faccio io, che qui, voglio parlare nello specifico di un articolo pubblicato qualche giorno fa da L’Espresso e intitolato “Dieci cose da fare per salvarci da tutta questa musica spazzatura”. Il pezzo, che mi corre qui l’obbligo di criticare sia nel merito che nel metodo, porta la firma di uno dei più interessanti, curiosi, instancabili divulgatori e narratori musicali degli ultimi decenni, Gino Castaldo che, procedendo innanzitutto col metodo, non fornisce mai, manco per sbaglio, manco di striscio, un nome, un volto o quantomeno una pur vaga descrizione di coloro i quali rappresenterebbero quella monnezza sonora di cui il pezzo si pregia di trattare: non si capisce in buona sostanza, e in assenza di dettagli sia pur minimi, a chi o cosa si riferisca il celebre critico di Repubblica, che lascia infine al lettore la libera facoltà di immaginare possibili ma del tutto ipotetici scenari musicali. Insomma, un po’ troppo facile, o no? Come direbbero a Roma, così so’ boni tutti, anche il governo: si indica l’esistenza di un male assoluto a cui però un nome, un volto non si da mai.

Nel merito: Castaldo, come da titolo del suo pezzo, indica quelle che sarebbero a suo avviso 10 buone pratiche per fermare o quantomeno frenare quest’orda barbarica senza nome, volto, origine e appartenenza, peccato però le stesse, in assenza peraltro di meglio definiti inquinatori della scena musicale italica, suonino un po’ come il bugiardino delle giovani marmotte: “ricordare che cos’è la musica, e cosa può essere”, ma neanche secoli di trattatistica filosofico-musicologica si sono dati ancora una risposta del genere; “discutere, polemizzare, perfino litigare, ma su questioni di sostanza”, e quali sarebbero, di grazia, ma soprattutto, chi lo stabilisce, il web?; “Individuare ed eliminare il doping che altera i valori del sistema”, ecchevordì?; “la buona musica è anche più divertente, più appassionante, più gratificante”, si, ma ce lo vuoi dire qual è sta buona musica (appunto, in assenza di chiarezza, almeno per esclusione); “ricominciare a sognare, volare, osare, amare”, o, come direbbe il Verdone dei Figli dell’amore eterno, “Love love love!”.

Insomma, caro e stimatissimo Castaldo, ti leggo dalla più tenera età, ma non sarebbe forse il caso di tirare fuori un po’ più di precisione, di trasparenza? Non credi sia arrivato il momento, per esempio, di intavolare un dibattito capace di individuare cause ed effetti, di dare delle coordinate, di fornire spiegazioni e possibili soluzioni? Ti lascio con una domanda a cui, chissà, un giorno, con un po’ di buona volontà, potremmo forse provare a dare una risposta: come fa un intero settore produttivo, vedi ad esempio l’industria discografica, a sopravvivere nel tempo in cui, per trasformazioni d’ordine strutturale, la sua merce diventa totalmente gratuita?

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