Si è discusso, prima di Natale, poco e in fretta, dell’acquisto da parte di Atm del 31% della quota privata della quasi completata metropolitana milanese che collega Linate a S. Cristoforo. Lo scopo è di rimanere unica proprietaria dell’infrastruttura, detenendo già il 69% delle azioni.

Il nocciolo della questione, cioè definire se l’investimento di 228 milioni fosse o meno congruo, non è stato però chiarito. Riguarda il project financing adottato per realizzare l’infrastruttura per la ripartizione del rischio coi privati. Quindi relativamente alla scommessa sulla redditività e socialità dell’investimento tra più attori, il pubblico e il privato.

Normalmente, se l’investimento si prospetta poco redditizio o in perdita, i privati vendono e il Comune si accolla i costi pregressi (extracosti dati dalla complessità dell’opera, dai tempi lunghi dei lavori e dai ristori concessi ai commercianti ben 7,5 milioni sborsati solo dal Comune), se invece si prospettasse redditizio i privati non venderebbero di sicuro, o chiederebbero molto più denaro di quello investito. Così gira il mondo. In particolare se si adottano dei modelli di project financing “ambrosiani”, come fece l’allora sindaca Moratti.

L’uovo di Colombo dei pretoriani del Sindaco di Milano Giuseppe Sala, a giustificazione dell’enorme spesa, è stato: ”il punto principale è politico e riguarda la proprietà di reti infrastrutturali monopoliste, che devono essere pubbliche”. Passare ad Atm la proprietà dell’infrastruttura mette in campo una distorsione evidente del suo ruolo di gestore, blindando per sempre la possibilità di mettere a gara lo stesso asset; non solo, muterebbe proprio la sua mission.

Infatti, puntuale, è stata annunciata in questi giorni una nuova proroga di due anni del contratto di servizio tra Comune e Atm per la gestione dei servizi di trasporto pubblico a Milano. Come nelle migliori tradizioni, quando si sancisce una proroga nel TPL delle città lombarde, si annuncia, come ha fatto il Comune, che le gare si faranno più avanti. Non si sono fatte, infatti, in nessuna città lombarda dal 2012 ad oggi e lo si evince dalla perdita di ruolo sociale, ambientale ed economico del settore.

Per l’Atm l’acquisizione delle quote permette all’azienda di esercitare una maggiore influenza nella gestione di M4, portando a sinergie operative e a una diversa gestione dei costi e delle risorse. La M4 è già perfettamente integrata con il resto della rete e con il biglietti elettronici. Di problemi non ce ne saranno mai. Con il 69% delle azioni, l’Atm ha già saldamente in mano la governance della M4.

Inoltre, nonostante detenga circa il 50% delle azioni della M5, da anni è perfettamente integrata con la rete metropolitana e di superficie. Si dice che si vuole creare una società meneghina delle infrastrutture, Infra-Mi, ma già oggi potrebbe disporre di un patrimonio di oltre 6 miliardi di euro (sommando la M1, la M2, la M3 e il 69% della M4), più di quanto necessario per poter finanziare la M6 ed eventuali prolungamenti della rete metropolitana.

Tale spesa spolpa l’Atm in una fase in cui i passeggeri diminuiscono e sono sempre più impazienti nelle fermate di bus e tram che hanno dei tempi di attesa mai visti, raggiungendo anche i 30 minuti; esaurendo le sue risorse di cassa, dato che investirà 80 milioni, il 40% dei 228 milioni, e per il restante 60%, 150 milioni, ricorrerà ad un costoso prestito bancario.

Dove troverà Atm le risorse per aumentare i salari d’ingresso degli autisti e bloccare l’emorragia di tranvieri che lasciano l’azienda, nonostante la grave crisi occupazionale? Questo doveva essere l’uso prioritario delle risorse in cassa dell’azienda dei trasporti milanesi.

La cessione ad Atm delle quote detenute da Webuild nel capitale di M4 “ha un certo impatto sui conti. È positivo ma non è enorme”. Lo ha affermato il Ceo di Webuild, Pietro Salini, a margine della presentazione di Pedemontana, di cui sarà il costruttore delle tratte B e B1. In Pedemontana Webuild è un appaltatore puro, nemmeno general contractor. Siamo noi cittadini a rischiare a causa delle garanzie spese da Roberto Maroni per evitare il fallimento di Pedemontana 6 anni fa.

Se va bene, Webuild reinvestirà i soldi di Milano all’estero, dove fa già il 90% del suo fatturato. L’altro azionista giapponese Hitachi, che ha ricevuto il regalo di Natale, difficile che investa in Italia.

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