Il 15 dicembre 2023, il sito web municipale ha comunicato che “il Comune di Milano (ha) delibera(to) sul controllo integrale di M4 SpA”. Non capisco nulla di economia e finanza, tanto meno di gestione dei beni pubblici. Poiché il Comune detiene già una cospicua maggioranza — addirittura possiede i due terzi di questa metropolitana — confesso una certa pur profana perplessità.

Né ricordo se il programma elettorale della coalizione vincente prevedesse questa acquisizione. E chiedo subito perdono dei miei peccati di distrazione e incompetenza.

L’esborso non sembra trascurabile. Alcuni media locali parlano di 225 milioni di euro. Non sono noccioline, anche se tonificate dalle aliquote milanesi sulla casa (leggi IMU) che guidano la graduatoria nazionale: 1,14 permille contro 1,06 di Firenze, Bologna, Roma, Venezia. Magnati di tutto il mondo controllano compagnie enormi possedendo quote piccolissime. Perché il mio Comune ha urgente bisogno di “migliorare i poteri di indirizzo” di M4, pur avendo già un potere di indirizzo assai robusto dall’alto del suo 66,667 percento?

Poco rimane delle aspirazioni espresse in modo plebiscitario dai milanesi nel lontano referendum del 2011 che portò al ribaltamento a sinistra dell’amministrazione, tuttora al governo della città. Solo in tema di “Riduzione del traffico e dello smog, potenziamento dei mezzi pubblici, estensione dell’Ecopass, pedonalizzazione del centro” (Referendum 1) qualcosa si è fatto, soprattutto in centro città, ma parecchia strada è ancora da fare (v. Figura 1).

Raddoppiare gli alberi e il verde pubblico e ridurre il consumo di suolo (Referendum 2) è diventato una favola metropolitana che il bellissimo libro di Lucia Tozzi (L’invenzione di Milano: culto della comunicazione e politiche urbane) dipinge soprattutto come una brillante operazione di marketing.

Così come l’esito del Referendum 4 sul “Risparmio energetico e riduzione della emissione di gas serra” non è stato grandioso: calma piatta (v. Figura 2).

In tema di Referendum 3, letteralmente “Conservare il futuro parco dell’area Expo 2015”, Google Maps consente al lettore di farsi una idea personale sulla conservazione integrale del parco agroalimentare. Il “Ripristino della Darsena e riapertura del sistema dei Navigli milanesi” (Referendum 5) ha visto soltanto la riattivazione del bacino della darsena a beneficio della movida, mentre i Navigli rimangono sepolti, alla faccia del progetto già pronto fatto da Metropolitana Milanese. Sarebbe stato un tema perfetto per il Pnrr, sia come tempi sia come finalità, sia come impegno finanziario: poco più del doppio dell’esborso per controllare integralmente la M4.

Per un comune mortale 225 milioni o 225 miliardi di euro sono numeri impalpabili, inconciliabili con il consuntivo del proprio conto corrente. Ricordo che, nel 2005, la Giunta Albertini aveva trovato 70 milioni di euro per realizzare lo scolmatore di nord-est del Seveso (v. Figura 3) da poter mettere in bilancio già nel 2006. Se non ricordo male, il Comune aveva ceduto il 30 percento delle quote di AEM, Azienda Elettrica Municipale, oggi parte del gruppo A2A, ricavando le risorse per iniziare a mitigare il problema degli allagamenti cittadini causati dalla progressiva tombinatura cittadina del fiume Seveso. Le giunte successiva decisero diversamente.

È lecito chiedersi se i milanesi preferiscano controllare saldamente la M4 o iniziare a controllare veramente i frequenti allagamenti?

Il progetto di Metropolitana Milanese prevedeva una piccola galleria che avrebbe collegato il Seveso al Lambro, a tre scopi: 1) evitare le esondazioni del fiume Seveso, 2) prosciugare alcuni importanti corsi d’acqua sotterranei per poter effettuare lavori di pulizia e di consolidamento, 3) controllare il livello della falda sotterranea che da anni, per via della deindustrializzazione, viene tenuta a bada con il pompaggio per evitare l’ammollo di strutture e infrastrutture cittadine, costruite avventatamente in sede ipogea durante l’età industriale.

Aggiungo che, in caso di chiusura dell’immissione in Lambro a causa di una eventuale sincronia dei picchi piena nei due sistemi fluviali, la galleria avrebbe comunque permesso di invasare temporaneamente circa 60mila metri cubi d’acqua. Devo anche confessare la mia ignoranza: non conosco studi che valutino la probabilità che si verifichi una siffatta sincronia, non frequente in bacini idrografici dalla forma così diversa come sono Seveso e Lambro.

Lo scolmatore di nord-est, al quale si ispirava la minuscola galleria di tre metri di diametro, era un’opera prevista da molto tempo. Almeno dagli anni ’30 del XX secolo, in quanto ritenuta indispensabile dal Comitato Coordinatore delle Acque della Provincia di Milano, l’organismo che aveva come obiettivo primario la soluzione dei problemi legati alle inondazioni cittadine. Lo scolmatore rimane perciò nell’oblio, riposto nel cassetto delle opere d’ingegneria fantastica. Non contiene solo grandi opere, ma anche operette. Non solo mega-opere irrealizzabili o inutili se non dannose, ma anche opere affatto sensate, confinate tuttavia dalla politica nel limbo della narrazione fantascientifica.

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