Mesi fa, quando sono entrato fra le mura spoglie dello stabilimento di Campi Bisenzio, ho visto qualcosa di diverso dal solito. Una fabbrica completamente immobile, spenta, ma non in stato di abbandono. Un luogo pulito, dove ragnatele e animali selvatici non hanno trovato dimora, abitato e curato dalla presenza umana. E questo dipende dagli operai che hanno occupato la loro fabbrica per immaginarne il futuro industriale.

Lavoratori che hanno difeso quegli spazi anche dalle intemperie, dalle inondazioni, aiutando Campi Bisenzio a risollevarsi dall’alluvione mentre qualcuno invocava lo sgombero della fabbrica. Chi? Esponenti dello stesso governo che non ha avuto il pudore non solo di far ritirare, ma nemmeno di sospendere la procedura di licenziamento (riaperta dall’azienda il 18 ottobre) in una zona esondata.

Poco più di dieci giorni fa è uscita un’inchiesta IrpiMedia condivisa con Panorama. Avrebbe dovuto fare molto, molto più rumore. Come Alleanza Verdi e Sinistra, l’abbiamo portata in conferenza stampa alla Camera dei Deputati. Un’inchiesta proprio sulla vicenda Gkn. Che cosa ha dimostrato? Che cali di produzione e andamento dei mercati non hanno nulla a che fare con la chiusura dello stabilimento di Campi Bisenzio. La multinazionale e il fondo speculativo britannico che la controlla, Melrose, già nel 2020 ne avevano sancito la fine.

Apparve chiaro, fin da quando qualche anno fa acquistò Gkn, che Melrose Industries Plc fosse interessata non tanto alla produttività industriale, ma alla massimizzazione dei profitti per i propri azionisti: una “strategia di spezzatino e vendita” qui come altrove. Voleva smembrare il gruppo, vendere gli stabilimenti e distribuire i dividendi.

Ma tutti ricordiamo che cosa accadde nell’estate del 2021: 400 lavoratori furono lasciati a casa all’improvviso, con una mail, come se ci fosse stato un repentino tracollo, come se la chiusura dello stabilimento dal giorno alla notte fosse stata inevitabile. “La decisione è dolorosa. Abbiamo realizzato che nello scenario di mercato che si sta delineando non è possibile rendere l’impresa sostenibile”, disse mesi dopo l’amministratore delegato.

Eppure nel 2020, mentre l’ad rassicurava i sindacati sugli scenari futuri di sviluppo produttivo e occupazione, firmando addirittura accordi, avveniva qualcosa di singolare: il gruppo – si legge nell’inchiesta – assumeva l’esperto di risorse umane in fase di crisi aziendale, Alex Aceti, comunicandogli che nel 2021 non ci sarebbe stato più bisogno di lui a Firenze e sottoponendogli un accordo di riservatezza. Perché non ci sarebbe stato più bisogno di lui? Perché nel primo trimestre del 2021 l’esistenza dell’impianto di Firenze sarebbe stata già in forse. Due progetti segreti, “Forest” e “Skye”, riguardavano l’uno la riduzione dei lavoratori in diversi stabilimenti Gkn nel mondo, l’altro (risalente al febbraio 2020) l’ipotesi di chiudere completamente l’impianto di Campi Bisenzio. Bozze di lavoro, memorandum interni, presentazioni PowerPoint lo testimoniano.

Intanto, i prototipi per componenti destinati a Stellantis (allora Fca) – maggior cliente di Gkn – venivano testati in altri impianti in Europa. Nei documenti interni Gkn elaborò un piano per sviare l’attenzione dei giornalisti e dire esplicitamente che i test non avevano a che fare con la volontà di lasciare Campi Bisenzio. A tal proposito, nel piano confidenziale di Gkn è scritto che “Gkn e Fca devono essere ben allineati (a livello di vertice)”. Vuol dire una cosa sola: che Stellantis sapeva.

Alla fusione di Fca e Psa in Stellantis è seguita la scelta di bloccare lo sviluppo delle piattaforme produttive italiane e l’unico possibile risultato di questa strategia era che in Italia non si sarebbe prodotto più nulla. Si chiama delocalizzazione. E la Gkn ha fatto parte di questo processo. E lo ha fatto – io credo – in maniera del tutto antisindacale. In tribunale, in seguito alla vertenza aperta dai sindacati nel 2021 contro Melrose, il management dell’azienda ha affermato di non avere che “mai sottaciuto alcunché” ai lavoratori. Invece, da almeno un anno taceva l’intenzione di lasciarli a casa.

Vorrei chiedere al governo Meloni: sarebbe questo il nostro modello di “Made in Italy”? Padroni dell’indotto automotive spregiudicati e opachi, rapaci e incapaci di assumersi responsabilità? Un monoproduttore pirata che tratta tutta la filiera e il nostro Paese come una zavorra e i suoi interlocutori come utili idioti a cui raccontare favole? Imprese che, temendo la forza dei sindacati, ingannano i lavoratori e gettano centinaia di famiglie in mezzo alla strada dall’oggi al domani? Il governo dei sovranisti, dei patrioti sta difendendo tutto ciò?

Oggi siamo di nuovo davanti allo stesso tragico rischio del luglio 2021. Nel mese di ottobre la Sottosegretaria Fausta Bergamotto, per ben due volte, ha screditato il piano di reindustrializzazione di Gkn negando di conoscerlo. In assenza di aiuti e sostegno, i lavoratori hanno prodotto un piano industriale consultabile e documentato da incontri istituzionali, ma il governo, che avrebbe dovuto ringraziarli per aver lavorato al suo posto, li ha messi sotto esame. E, senza un intervento pubblico e una politica industriale pubblica, sarà chiaro che a quel progetto si preferiscono la cementificazione e la speculazione immobiliare sul territorio.

Bergamotto ha invitato a sgomberare la fabbrica, riportare “tranquillità” e “legalità”. Che cosa farà quando l’azienda sarà vuota? Darà un party o si godrà quel silenzio? Perché su questa vicenda non è emerso solo il disegno confezionato da Gkn e Melrose e condiviso da Stellantis.

Le variazioni societarie sullo stabilimento fanno pensare a una pura operazione immobiliare: la società che detiene interamente le quote dell’ex Gkn, la Pvar, è controllata al 50% da Toscana Industry srl, controllata al 100% da una fiduciaria del Monte dei Paschi di Siena, controllato a sua volta per il 64% dallo Stato. Oggetto sociale di Toscana Industry e Pvar: “l’acquisto, la vendita, la permuta, la costruzione, la ristrutturazione, la gestione di beni immobili”. Francesco Borgomeo, attuale proprietario di Gkn, ha un’altra società, la Saxa Gres, con conti in grande difficoltà, fra i cui azionisti compare Gaetano Caputi, Capo di Gabinetto della Presidente Meloni.

Il governo dovrà prima o poi rispondere di queste “relazioni pericolose”, del rifiuto di chiedere un tavolo di crisi e della sua complicità a un inverno post-industriale che è già alle porte.

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