“Voi portatemi a Malaga, che poi ci penso io”. Probabilmente questa frase Jannik Sinner non l’ha mai pronunciata, ma racchiude il senso di una competizione come la Coppa Davis. L’Italia l’ha vinta e l’ha vinta con la squadra. Quando Sinner chiese a Filippo Volandri di non convocarlo per il girone di qualificazione a Bologna, lo scorso settembre, venne montata una polemica ad arte: il principale quotidiano sportivo italiano (ma non solo), accusò il 22enne Jannik di scarso attaccamento alla maglia azzurra. Anzi, l’accusa principale in fondo era un’altra: “Non è italiano”. Una tesi peraltro confermata pure recentemente. Giocando sul suo nome e sulle sue origini: Jannik Sinner da San Candido, anzi Innichen. Giocando su una terra, la Provincia di Bolzano, di cui alcuni scrivono senza sapere nulla della sua storia e dei suoi drammi, delle ferite ancora aperte e dei tentativi faticosi di rimarginarle. Anche definirla Provincia di Bolzano, invece che Alto Adige o Südtirol, ha un significato.

I nomi si portano dietro le divisioni del passato. Mentre il nome di Sinner, per unire tutti, ha avuto bisogno di firmare la vittoria di una Davis che mancava da 47 anni. “È un tedesco”, lo hanno detto o pensato in molti (quasi tutti non appassionati di tennis) prima di domenica 26 novembre 2023. Invece ha vinto Sinner l’italiano, quello che ha mollato lo sci in piena adolescenza per trasferirsi a Bordighera e inseguire il sogno della racchetta. Quello che fa i tornei a Fifa con i compagni di squadra e gioca a burraco (perdendo quasi sempre) contro l’amico Lorenzo Sonego. Quello che canta l’inno e manda baci durante le interviste. Certo, non rappresenta lo stereotipo dell’italiano istrionico e caciarone. Ma il mondo cambia, evolve. E Sinner forse può rappresentare meglio di altri (in positivo) un ragazzo italiano del nuovo millennio. Aperto al mondo, capace di parlare fluentemente l’inglese, forse anche più del tedesco. Capace di usare i social in modo costruttivo. Di comunicare l’impegno e i sacrifici necessari per raggiungere un traguardo, piuttosto che ostentare le ricchezze e la fama che quel traguardo porta dietro.

Certo, qualcuno storcerà sempre il naso perché si chiama Jannik Sinner e non “Paolo Rossi”. Di nuovo, nel frattempo il mondo intorno cambia: può sembrare banale nel 2023 dover dire che si può essere cittadini italiani a prescindere dal nome, ma a quanto pare è ancora necessario. Il concetto di nazione, tornato prepotentemente di moda, è anticiclico rispetto all’evolversi delle comunità. Dove sempre più persone con tradizioni, passati e appunto nomi diversi devono trovare un modo per stare insieme. La squadra italiana di Coppa Davis è una comunità, i tennisti scelti da capitan Filippo Volandri hanno saputo guardare tutti insieme al bene comune. Gli stessi che criticavano Sinner per la sua mancata partecipazione alle partite di Bologna, ora lo esaltano come l’unico artefice del trionfo azzurro a Malaga. Dimenticando che senza le vittorie dei vari Lorenzo Sonego, Matteo Arnaldi e Lorenzo Musetti a settembre in quel dannato girone, nel quale l’Italia è riuscita per un soffio a strappare la qualificazione ai quarti, non ci sarebbe stata poi la storica cavalcata contro Olanda, Serbia e Australia. Sinner ha trascinato gli azzurri nelle sfide più difficili, i suoi compagni hanno fatto il lavoro sporco quando serviva, per permettergli di presentarsi all’appuntamento decisivo al top della forma. Questa è una squadra. Composta da tennisti giovani, forti e tutti italiani. Qualsiasi cosa questo voglia dire.

Articolo Successivo

Adesso vinco io, il documentario sulle vittorie di Marcello Lippi con Moggi ma senza Baggio

next