Simona non può accedere al conto bancario condiviso con l’ex compagno. Claudia non ha denaro suo e l’ex marito la costringe a fargli controllare gli scontrini di ogni acquisto. Dopo il divorzio, Alessandra non ha mai avuto il pagamento degli alimenti. Sono alcune forme che assume la violenza economica, studiata nel rapporto “Ciò che è mio è tuo. Fare i conti con la violenza economica” pubblicato dalla ong WeWorld in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne. L’organizzazione – impegnata in progetti di cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario in 27 Paesi, compresa l’Italia – ha realizzato un’indagine inedita con Ipsos per valutare la percezione che italiani e italiane hanno della violenza contro le donne in generale e, in particolare, dell’esperienza diretta di violenza economica.

Il 49% delle donne intervistate ha dichiarato di aver subito violenza economica almeno una volta nella vita. La percentuale sale al 67% tra le donne divorziate o separate. “La violenza economica è forse la più chiara rappresentazione di come gli abusi contro le donne si realizzino attraverso un esercizio di potere”, spiega a ilfattoquotidiano.it Martina Albini, coordinatrice del Centro studi di WeWorld. “Il mezzo è il denaro che è lo strumento d’eccellenza per manifestarlo. Si esercita controllando le risorse materiali della donna in modo da colpire la sua autonomia, annullandola. È sopraffazione, spesso agita insieme ad altre forme di violenza come quella fisica e psicologica”.

Riconosciuta dalla Convenzione di Istanbul come una specifica forma di violenza, è multiforme. Si può concretizzare come controllo economico: l’autore degli abusi impedisce e controlla i beni della vittima, limitando il suo potere decisionale, ne monitora le spese o pretende di dare la propria autorizzazione prima di qualsiasi acquisto. Può manifestarsi come una forma di sfruttamento: l’autore della violenza utilizza le risorse economiche della vittima a suo vantaggio, anche rubando beni, denaro e proprietà, o forzandola a lavorare più del dovuto. “Una donna che abbiamo supportato nei nostri progetti ha avuto una lunga relazione in cui il marito la controllava in continuazione. Lei soffriva di una disabilità psichica e il marito le sottraeva la pensione di invalidità: prima le faceva pagare le bollette, poi usava le somme rimanenti per se stesso”, racconta Albini. “Spendeva senza consultarla e lei non poteva neanche curarsi. Inoltre, la obbligava a turni di lavoro che per le sue condizioni fisiche e mentali non era in grado di sopportare”. Può ancora manifestarsi sabotando la vittima, impedendo alla donna di cercare o di mantenere un impiego, anche arrivando a distruggere i beni personali. “Una donna che abbiamo aiutato ci ha raccontato che l’ex marito le controllava tutti gli acquisti. Un’altra che le erano state sottratte le chiavi della macchina. Non era più libera di muoversi da sola. L’isolamento sociale fa parte delle strategie di abuso”. Secondo l’indagine, una donna su dieci ha dichiarato che il partner le ha negato di lavorare.

Nonostante sia pervasiva, la violenza economica è difficile da riconoscere. “È legata a condizionamenti culturali che non vengono subito individuati come abusi, a differenza di quanto accade con quelli fisici”, prosegue Albini. È infatti considerata molto grave solo dal 59% dei cittadini e cittadine. “Sono comportamenti interiorizzati legati a dinamiche tradizionali: per esempio, lo stereotipo che le risorse economiche debbano essere amministrate dal ‘buon padre di famiglia’, espressione ancora presente nel codice civile. Ed è alimentata dal nostro tessuto sociale e culturale: in Italia molte donne non hanno un impiego, il lavoro di cura è considerato loro appannaggio e meno del 40% ha un conto corrente autonomo. Pregiudizi che non mettono da subito in allerta. Dati alla mano, per il 16% degli uomini è giusto che in casa sia l’uomo a comandare, contro il 6% delle donne.

Secondo l’analisi, più di una donna separata o divorziata su 4 (28%) ha dichiarato di avere subito decisioni finanziarie prese dal partner senza essere stata consultata prima. “La violenza economica è molto diffusa tra le donne che hanno intrapreso un percorso di divorzio o separazione. Il 37% ha raccontato di non avere avuto le somme concordate di denaro per il mantenimento dei figli”, spiega Albini. Dopo la separazione o divorzio, il 61% delle donne ha riportato un peggioramento della propria situazione economica. “Pesa anche la situazione del mercato del lavoro, con gli stipendi che non crescono, dove avere una famiglia monoreddito con figli a carico è problematico e può ostacolare nel trovare un impiego, soprattutto se è da molto che non si lavora. Da qui la necessità di maggiori finanziamenti a strumenti come il reddito di libertà, insieme a politiche della casa e del lavoro che devono diventare più inclusive e solide”. Per una donna separata o divorziata su quattro, ci sono difficoltà a trovare un impiego con un salario sufficiente al suo sostentamento. Incide anche la scarsa educazione finanziaria: la quota di donne che non si sentono preparate rispetto ai temi finanziari è più del doppio di quella degli uomini (10% vs 4%).

“È necessario capire che la violenza economica è trasversale e che non esiste una tipologia di vittima. Tutte le donne possono subirla, anche se colpisce in modo maggiore chi già vive forme di discriminazione come donne dal vissuto migratorio, anziane o donne con disabilità”, spiega Albini. “Ci sono studi che hanno mostrato la violenza economica in relazione alla teoria del backlash: quando una donna ottiene un livello di istruzione molto alto, e può ambire a un ruolo lavorativo di prestigio con un reddito elevato, l’empowerment femminile diventa quasi un elemento di disturbo per l’uomo abituato a esercitare potere, a essere superiore alla donna. È così che si agiscono dinamiche di sopraffazione. Per questo è necessario un approccio trasversale che sappia includere gli interventi diretti e stimolare una presa di coscienza collettiva in ogni livello della società. Dall’introduzione dell’educazione sessuo-affettiva nelle scuole, richiesta da quasi 9 italiani/e su 10 (89%), a curricola obbligatori di educazione economico-finanziaria che sono considerati necessari da quasi 9 italiani/e su 10 (88%).

Si può intervenire anche “con attività di prevenzione ed empowerment femminile, insieme al rafforzamento dei centri-antiviolenza, per arrivare a rivendicare la propria autonomia”, conclude Albini. “Una donna ci ha detto che, quando ha lasciato l’ex marito violento che controllava i suoi soldi, ha comprato un vestito. Non voleva più nulla di quello che quell’uomo aveva acquistato per lei. È stato un gesto di liberazione, la manifestazione di un desiderio. Rivendicarsi a partire dal quotidiano: è un atto che fa capire che si sta tornando a essere libere”.

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