Spesso, seppure per pochi giorni, ritorno nella mia Palermo: non riesco a starci più di 4/5 giorni. All’aeroporto Falcone/Borsellino salgo sul bus strapieno di passeggeri per raggiungere il capoluogo. Passiamo davanti al monumento che ricorda la strage di Capaci e già mi rattristo, incupendomi. Collaborai col magistrato Falcone, negli anni 80 per poi essere impegnato appieno nelle indagini sulla strage di Capaci, per conto della DIA. Giorni e notti, tra appostamenti, pedinamenti e intercettazioni, culminati con gli arresti di Gioè Antonino, Gioacchino La Barbera, Santino “mezzanasca” Di Matteo (padre del piccolo Giuseppe rapito e sciolto nell’acido) e di Giovanbattista Ferrante.

Dal bus, poi, scorgo un sito dove compimmo un sopralluogo, per acclarare quanto raccontato da un pentito. Ci disse che avevano prelevato un uomo anziano e dopo averlo ucciso mediante strangolamento, buttarono il corpo su una pira per disfarsene. E mentre avveniva ciò, loro banchettavano accanto, con salsicce, costolette arrostite col barbecue, annaffiate da tanto vino. Ricordo che quando raccontò i dettagli, mi disse: “Ispettore, solo la milza rimase intatta, il resto sparì”.

L’autista del bus, svoltando in una via di Palermo, dice “fermata Croce Rossa”. Ed io crollo, divento tristissimo. In viale Croce Rossa, il 6 agosto del 1985 il vicecapo della Squadra mobile di Palermo, Ninni Cassarà, viene assassinato insieme all’agente Roberto Antiochia. Si salva l’agente Natale Mondo che si butta sotto l’auto, ma viene assassinato il 14 gennaio 1988: la mafia non perdona. Io ho fatto parte della Sezione diretta da Cassarà e, quindi, ho lavorato con loro tre. Ninni Cassarà era un investigatore eccellente, un manager delle investigazioni. Ricordo, che mai andava via dall’ufficio se l’ultima pattuglia non fosse rientrata. Non me ne vogliano gli altri funzionari di polizia, ma Ninni Cassarà e il dirigente della “Omicidi” Francesco Accordino, erano la punta di diamante della Mobile. Poi giunse il commissario Beppe Montana e fu costituito un trio perfetto. Montana pagò con la vita il suo profuso e instancabile impegno contro Cosa nostra: fu ucciso a Porticello (PA) il 28 luglio 1985. Noi della Investigativa, lavoravamo gomito a gomito con la Omicidi.

Il bus si immette in viale Della Libertà e i funesti ricordi si alleviano vedendo i deohr pieni di giovani; del resto era sabato sera. Il bus continua la sua marcia e: “fermata Notabartolo”. Qui mi si inumidiscono gli occhi, e aumenta la tristezza nel mio cuore. A pochi metri dalla fermata, il 14 novembre 1982, viene ucciso a tradimento l’agente Lillo Zucchetto, da due killer. Fu casualmente intercettato mentre usciva dal bar Collica. Io ero il suo capo pattuglia: fu ucciso perché avevamo arrestato la domenica precedente il capo famiglia di Villabate Salvatore Montalto. Lillo e Cassarà erano stati intercettati, qualche giorno prima, nel territorio del capomafia, mentre col vespino facevano un sopralluogo ed erano stati riconosciuti da Pino Greco “scarpuzzedda”.

Il bus prosegue e: “fermata Cavour” e qui volgo lo sguardo a sinistra, sede della Prefettura. La mia mente vola a quel maledetto 3 settembre 1982. Via Isidoro Carini, dove persero la vita il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, sua moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente Domenico Russo. Quel giorno ero distrutto, io e Zucchetto avevamo iniziato la mattina un appostamento protrattosi sino a sera, e Cassarà vedendomi molto stanco, chiamò una Volante per farmi accompagnare a casa. Giunsi davanti casa e mia moglie era al balcone che m’aspettava. Mentre sto per scendere la Centrale lancia l’allarme di sparatoria e dico all’autista: “Voglio sentire chi è il morto”. In quei primi anni 80, abbiamo contato oltre un migliaio di morti ammazzati. Dopo qualche secondo, la prima Volante intervenuta con voce concitata dice: “Centrale, hanno ucciso Dalla Chiesa”, ed io, senza nemmeno scendere dalla Volante, saluto mia moglie con la mano e con sirena spiegata raggiungo il luogo. Vidi una scena straziante. Quella notte, nessuno di noi andò a dormire.

Il bus prosegue verso il capolinea e ad un tratto vedo la Chiesa di San Domenico – via Roma – e raggiungo il massimo, questa volta di rabbia. Nella Chiesa, per volere della prof.ssa Maria Falcone, il corpo del dottor Giovanni Falcone è stato lì traslato, perché ritenuto il Pantheon dei siciliani illustri. Io, ero contrario alla traslazione dalla cappella gentilizia del cimitero Sant’Orsola a San Domenico, giacché si separava di fatto Giovanni Falcone da sua moglie Francesca Morvillo. Ma anche se Falcone riposa a San Domenico e Francesca Morvillo al cimitero dei Rotoli, per me riposano ancora nella cappella, peraltro a pochi metri dalla tomba dei miei cari, ed è lì che mi fermo a pregare.

Insomma, un bus strapieno, ma io ero maledettamente solo con i miei brutti ricordi. Tuttavia, prima di giungere al capolinea, la mia mente s’acquietò, ricordando momenti felici che i “miei migliori amici” mi avevano regalato. Il giorno dopo, sono passato da via D’Amelio.

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