Il momento più toccante della mia missione in Turchia, che sta per concludersi, è certamente stato la visita alla tomba di Ebru Timtik, avvocata turca morta a seguito dello sciopero della fame di protesta che aveva intrapreso contro la sua ingiusta detenzione e a difesa del principio del giusto processo. Sulla sua tomba è scritto: “Gli eroi non muoiono, il popolo non sarà sconfitto”. In una trentina di avvocati provenienti da vari Paesi europei abbiamo reso omaggio a Ebru, considerandola un simbolo imperituro della lotta per la giustizia e i diritti degli oppressi. Molti altri avvocati turchi e kurdi sono stati colpiti dalla repressione del regime, e molti tra di loro, che abbiamo visitato nelle carceri di massima sicurezza in cui sono rinchiusi hanno subito pesanti condanne per pene detentive fino a ventidue anni di carcere per aver svolto la loro funzione, fondamentale per ogni Stato di diritto, senza riguardi per ogni tipo di potere e senza paura. Continuano a lamentare l’isolamento che viene loro imposto e qualche maltrattamento, ma sono stato lieto di constatare come le loro condizioni di salute e di spirito sono buone e sono convinto che essi costituiscano un’importante risorsa per la Turchia del futuro.

Gli avvocati che abbiamo visitato sono imputati in un processo che si trascina già da vari anni, con giudici che vengono nominati o destituiti a discrezione del potere politico sulla base del loro comportamento processuale. In situazioni patologiche come questa si conferma l’evidente assunto che l’indipendenza dei giudici e quella degli avvocati, tra loro strettamente connesse ed interrelate, costituiscono due irrinunciabili pilastri dello Stato di diritto.

Il ruolo delle avvocate è particolarmente importante. Sono loro a subire le pene detentive più elevate e a portare in genere il maggior peso della repressione in una società ancora fortemente patriarcale. Donna è anche Gülhan Kaya, avvocata detenuta da vari mesi perché accusata di essere membro di un’organizzazione terroristica sulla base della testimonianza di un suo cliente che si è pentito sulla base di un congruo sconto di pena, al cui processo abbiamo assistito giovedì. L’udienza si conclusa colla scarcerazione di Gülhan, salutata dal giubilo generale: un segnale di speranza per gli avvocati e tutta la Turchia.

Durante la visita al carcere speciale di Kandira, avvenuta il 7 novembre, sono stato fermato per aver lasciato inavvertitamente il caricatore del mio iPhone in tasca alla giacca, ignorando che i caricatori telefonici costituiscono oggetti proibiti ai sensi della regolamentazione penitenziaria applicabile. Si delineava una situazione kafkiana, ma pare non ci siano ostacoli all’espatrio, ed è possibile che il Procuratore competente, cui è stato prontamente inviato il verbale della faccenda, decida magnanimamente di archiviare.

Viviamo un momento molto difficile a livello planetario colle guerre in corso e l’atroce genocidio del popolo palestinese che è in atto di fronte ai nostri occhi indignati e impotenti. Il rispetto dello Stato di diritto costituisce ovunque e senza eccezioni un ingrediente fondamentale per la soluzione pacifica e politica dei conflitti in corso. Vanno puniti i crimini da chiunque commessi e va garantita una sostanziale uguaglianza dei diritti ad ogni essere umano indipendentemente dalla sua identità nazionale, religiosa, di genere o di altro tipo.

Come ha osservato giustamente il leader della sinistra francese Jean-Luc Mélenchon, occorre applicare il diritto umanitario bellico anche al conflitto in corso a Gaza, perché da un lato esso consente la punizione dei crimini di guerra da chiunque commessi, e dall’altro mette le parti in conflitto su di un piede di parità, prefigurando possibili e necessarie soluzioni negoziate dello stesso. L’uguaglianza dei diritti in società tendenzialmente sempre più multiculturali costituisce la base imprescindibile per la convivenza pacifica. Occorre evitare, come sostenuto perfino da Guido Crosetto, a quanto pare il più intelligente dei ministri componenti la disastrata compagine meloniana, ogni guerra fra civiltà. Posizione tanto più importante nell’attuale fase di passaggio a un governo multipolare del pianeta, che va favorita ed accelerata per evitare la catastrofe e contro il tentativo di chi, come Matteo Salvini, vuole recuperare per bieco elettoralismo il più becero spirito di crociata vetero-occidentale all’insegna di una presunta superiorità dei “nostri” valori, in realtà mero travestimento delle velleità di dominazione su altri popoli.

Secondo il mio amico Antonio Fraticelli, avvocato bolognese, orgogliosamente democristiano confesso a volte un po’ irritante per la sua foga anticomunista ma grande militante per la difesa dei diritti umani, che fa parte della delegazione, insieme alle colleghe Francesca Trasatti e Margherita Cantelli di Potere al Popolo, siamo stati fortunati a nascere in Europa. Per certi versi ha ragione, ma per quanto mi riguarda il fatto è più che altro che l’Italia è il mio Paese, nel quale, come giurista ed avvocato, sono oggi chiamato a continuare la lotta per un mondo più giusto. Come dimostrato dalla nostra presenza in Turchia, come pure dai gravi fatti che avvengono ogni giorno in Palestina ed altre parti del mondo.è peraltro oggi impossibile non condurre questa lotta anche sul piano internazionale.

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