Io ottimista sulla pace? No, non lo sono, ma dobbiamo avere speranza. La differenza è notevole e non sto nemmeno a spiegarla. Si devono percorrere i sentieri di pace, non perché siano facili, belli, chiari con tutti i segnalatori necessari. Sono sentieri che non esistono nemmeno e che sono tutti da creare, ma con la speranza, anzi la certezza, che la pace c’è”. Sono le parole pronunciate ai microfoni di Radio Cusano Campus dal cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, che ieri è stato ospite dell’università Unicusano in un incontro con gli studenti sul tema della pace.

Il religioso aggiunge: “Il problema è trovare la pace e creare delle sinergie, delle alleanze, delle collaborazioni perché soltanto insieme si può trovare la pace. La pace non è mai messa da parte. Chiunque combatta, anche quello che è preso dalle passioni ideologiche o soltanto dall’adrenalina della guerra, non aspetta altro che tutto quanto finisca, perché la guerra fa male – continua – Anche chi fa soffrire soffre. Forse non soffre immediatamente, ma quando finisce l’adrenalina soffre terribilmente. Il problema è che quando si è presi dal meccanismo della guerra, si pensa meno alla pace e soltanto alla guerra. Ma perché finisca la guerra, bisogna pensare alla pace“.

Poi si sofferma sui conflitti in corso: “Le guerre in Ucraina e in Medioriente non sono scoppiate casualmente. Nella guerra non c’è mai una casualità. Paradossalmente il male è molto logico e per certi versi prevedibile anche nella sua imprevedibilità. Se non risolvo i problemi – spiega – come quello delle due regioni contese nel caso della guerra tra Russia e Ucraina o quello della Terra Santa per cui non si è perseguita chiaramente la via dei due Stati, è molto più facile che possa esplodere la violenza. Insomma, il male non è imprevedbile, arriva sempre il conguaglio perché si rimandano le cose e ci si accontenta di non avere problemi che poi arrivano”.

Il cardinale Zuppi, infine, ribadisce la sua opinione sull’accordo tra Italia e Albania nella gestione dei migranti soccorsi in mare, respingendo la tesi secondo cui accogliere significhi “tutti dentro”: “Il punto è creare un sistema che dia sicurezza sia a chi accoglie, sia a chi è accolto. Ed è proprio quello che manca. I dettagli su questo accordo non li conosco, ma colpisce ovviamente il fatto che non si costruiscano soluzioni sul nostro territorio ma bisogna andare in Albania. È quasi una dichiarazione di non capacità per cui si chiede la collaborazione ad altri. E invece si deve far fronte alle necessità e ci si deve assumere totalmente le responsabilità“.

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