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Alberto Genovese resta in carcere, i giudici dicono no all’affidamento terapeutico

Alberto Genovese resta in carcere, i giudici dicono no all’affidamento terapeutico
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Alberto Genovese, l’ex imprenditore del web condannato a 6 anni, 11 mesi e 10 giorni per due casi di violenza sessuale con uso di droghe su due modelle, deve restare in carcere. È la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Milano che ha respinto l’istanza della difesa di affidamento terapeutico.

Genovese, 46 anni, era tornato in carcere, dopo essere stato ai domiciliari in una clinica per disintossicarsi dalla cocaina, lo scorso 13 febbraio in esecuzione della pena definitiva, come disposto dal pm dell’Ufficio esecuzioni Adriana Blasco. Già a fine maggio scorso i giudici della Sorveglianza di Milano avevano deciso che l’ex fondatore di start up digitali doveva rimanere a Bollate almeno altri 5 mesi (fino all’udienza dei giorni scorsi), perché, prima di decidere sull’istanza difensiva di affidamento terapeutico in una comunità, serviva una seria valutazione psichiatrica, anche sulla “criminogenesi”, dato che non era stata mai valutata scientificamente la causa specifica dei reati e delle modalità di “estrema violenza” con le quali sono stati commessi.

I giudici hanno affidato all’equipe psichiatrica del carcere di Bollate il compito di effettuare le valutazioni, anche per meglio delineare un preciso percorso di terapie per un’eventuale concessione dell’affidamento terapeutico, richiesto dagli avvocati Antonella Calcaterra, Salvatore Scuto e Davide Ferrari. Sulla base della relazione depositata nelle scorse settimane, i giudici (i togati Cossia e Gerosa e due esperti) hanno deciso giovedì, dopo l’udienza dei giorni scorsi, di rigettare la richiesta difensiva.

Genovese resta dunque in carcere a scontare la pena (il residuo è poco meno di 4 anni). Tra l’altro, per l’ex fondatore di start up digitali a dicembre si aprirà una nuova udienza preliminare sul filone bis delle indagini, coordinate dall’aggiunto Letizia Mannella e dai pm Rosaria Stagnaro e Paolo Filippini e condotte dalla Squadra mobile, con al centro altre violenze con lo stesso schema su due ragazze. Procedimento in cui è imputato anche per intralcio alla giustizia e per detenzione di materiale pedopornografico.

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