Ha fatto bene Fazio a passare la prima mezz’ora del suo programma mostrandoci la nuova location, girando tra i camerini eleganti, i corridoi e il retropalco degli studi della (o del) Nove, tra una chiacchiera e l’altra con Frassica e il mago Forest. E ha fatto bene a ricordarci ogni tanto durante lo show con battute e gag (non male quella del telecomando con tutti i tasti con un lo stesso numero e anche la letterina di Luciana) che tutto andava in onda su una nuova rete. Ha fatto bene perché altrimenti dopo qualche minuto dall’inizio, non so voi ma io me lo ero già dimenticato e pensavo di essere su Rai3.

Stessa formula delle passate stagioni, stessa atmosfera, stesso rapporto prossemico con gli ospiti e con il pubblico in studio. Un talk politico molto educato tra i soliti giornalisti arricchito da un ospite che fa davvero la differenza; Grossman; una testimonianza significativa e coinvolgente (Segre), la Lucianina distesa sulla scrivania che passa agevolmente dalla scherzo sulla jolanda alla riflessione seria sul ruolo del comico; un po’ di musica e l’interminabile tavolo da cazzeggio che alla fine qualche risata riesce a strapparla.

A questo punto non si può non chiedersi quale sia il senso vero di questa ripetizione, di questo ricalco non certo casuale ma voluto, sottolineato come dimostra la presenza del professor Burioni in un momento in cui non è proprio indispensabile.

Le risposte sono due. La prima spiegazione è semplice: come dicevano i vecchi allenatori, quando il turnover non si sapeva neppure cosa fosse, “squadra che vince non si cambia”. E infatti anche stavolta la vecchia squadra ha vinto con un risultato che nel calcio si direbbe rotondo. La seconda è un po’ più articolata e forse interessante. La mia impressione è che Fazio abbia voluto dimostrare l’importanza del suo format, la sua indispensabilità, non per sé stesso ma per la televisione italiana. Insomma questa esperienza che ha ormai ventun anni (come ha più volte ribadito), questo marchio CTCF è un classico, un punto d’arrivo nella storia della tv da cui non si può tornare indietro. La sua replica afferma una sorta di superiorità del format sulla rete che lo adotta, del contenuto sul contenitore.

E qui, da questa replica, che per molti sarà motivo di delusione e di critica, si apre una serie infinita di temi di discussione. Per esempio la funzione di servizio pubblico che da una rete pubblica per natura e definizione passa a un’emittente privata, per giunta di proprietà straniera, un tema che non dovrebbe lasciare indifferenti i patrioti. Oppure il tema del destino della tv generalista che tutti danno in declino e che invece si afferma anche fuori dai suoi confini, offrendo un prodotto che più generalista non si può a un’emittente che ha un’origine opposta.

Insomma ancora una volta l’arrivo di Fazio, questa volta senza nessuna novità, anzi proprio per questo, riesce a sparigliare il gioco, a gettare una luce diversa sul quadro dell’emittenza televisiva. Una cosa invece mi rimane oscura: perché si dice Il Nove e non La Nove? Forse ce lo dirà nella prossima puntata.

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