“I comportamenti dei singoli magistrati, anche in ambito privato, contribuiscono a determinare la credibilità complessiva della magistratura nel Paese, e debbono essere continenti e manifestati con prudenza istituzionale”. Intervenendo al Congresso dell’Unione delle camere penali (il “sindacato” degli avvocati penalisti) il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura Fabio Pinelli, eletto in quota Lega, si iscrive di fatto nelle schiere dei critici di Iolanda Apostolico, la giudice di Catania che nei giorni scorsi ha disapplicato il decreto Cutro sull’immigrazione, attaccata dalla maggioranza per un video del 2018 in cui la si vede partecipare a una manifestazione pro-migranti. Una presa di posizione significativa da parte del dominus dell’organo che probabilmente sarà chiamato a esprimersi sull’operato della giudice: a palazzo dei Marescialli infatti è già pendente una pratica a tutela di Apostolico (cioè la richiesta di un intervento del Consiglio per difenderne “l’indipendenza e il prestigio”), mentre i consiglieri di area centrodestra, dopo la diffusione del video, valutano di chiedere l’apertura di un procedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale.

Diversi passaggi del discorso di Pinelli davanti ai colleghi penalisti sembrano riferiti al caso Apostolico: da parte di giudici e pm, dice ad esempio, non c’è stata “una adeguata riflessione autocritica sui doveri. Ogni tanto ci dimentichiamo che in una comunità sono importanti le regole ma anche i comportamenti di ciascuno di noi, specie di coloro che ricoprono incarichi pubblici. (…) Le istituzioni hanno un loro prestigio e i comportamenti devono avvalorare e suffragare questo prestigio”, afferma. Altre frasi riecheggiano gli attacchi alla magistrata per la sua decisione di non convalidare il trattenimento di tre migranti tunisini: “La magistratura è andata ben oltre la risoluzione giurisdizionale del conflitto, operandone invece una a volte impropria mediazione politica. (…) È bene che i confini siano definiti, senza improprie invasioni di campo. A volte è sembrato che la magistratura si auto-attribuisse un potere di rappresentanza che invece non ha. Sul sistema delle regole può dare un contributo di competenza, non un contributo di rappresentanza. Quello spetta alla politica”.

Il vicepresidente del Csm – organo, lo ricordiamo, deputato a tutelare l’autonomia e indipendenza dell’ordine giudiziario – parla come un berlusconiano d’altri tempi, individuando l’origine dei mali della giustizia negli anni di Tangentopoli: “L’Italia ha visto una forte crescita del potere dei magistrati, in special modo della magistratura requirente. Ricordiamo tutti che negli anni Novanta le Procure della Repubblica hanno inciso sulle caratteristiche concrete della forma di governo; il potere giudiziario è diventato una componente decisiva del sistema di governo e, insieme, un polo di attrazione per una parte dello stesso mondo dei partiti, dei mezzi di comunicazione e della società civile”, dice. Sempre in quel periodo, attorno alla magistratura e alle sue indagini ha cominciato ad aggregarsi una domanda di incidenza politica volta a regolare i rapporti sociali e a contrastare comportamenti non virtuosi delle classi dirigenti. Questa domanda si è radicata nella società, e ciò che è accaduto dopo, sino ai giorni nostri, è frutto del radicamento e del rafforzamento di tale domanda”.

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