Noi al Consiglio non facciamo politica“. Con queste parole, in una nota diffusa martedì mattina, il gruppo al Csm di Magistratura indipendente (Mi) ha giustificato la mancata adesione alla richiesta di aprire una pratica a tutela di Iolanda Apostolico, la giudice di Catania che ha disapplicato il decreto Cutro sull’immigrazione. Una scelta che ha isolato i sette consiglieri della corrente di destra rispetto agli altri membri togati: il documento infatti è stato sottoscritto sia dalla sinistra di Area e Magistratura democratica, sia dai centristi di Unità per la Costituzione (Unicost), sia dai due magistrati eletti al di fuori delle correnti, Roberto Fontana e Andrea Mirenda. E dire che, per raggiungere una posizione unanime, i firmatari avevano persino accettato di cancellare dal testo il riferimento alla premier Giorgia Meloni, sostituendolo con una più generica critica alle dichiarazioni dell'”esecutivo”. Niente da fare: dopo un’intera notte di riflessione, i consiglieri di Mi hanno scelto di non difendere la collega sotto attacco. Lo hanno fatto, sostengono, “per non alimentare ulteriormente la dannosa contrapposizione tra istituzioni democratiche in atto, fermo restando il doveroso rispetto delle decisioni giurisdizionali e l’auspicio che la legittima critica degli stessi abbia a oggetto il loro contenuto”. E nel comunicato rivendicano con fierezza: “La militanza politica non ci appartiene“.

Ma è davvero così? In realtà, com’è evidente a chiunque segua i lavori del Csm, sono proprio gli eletti di Mi quelli che finora hanno interpretato la funzione in modo più politico, atteggiandosi platealmente – e da subito – come testa di pontetogata” del governo nell’assemblea di palazzo dei Marescialli. Una convergenza con i laici di centrodestra che ha dato vita a una maggioranza solidissima, capace di portare a casa senza sforzi quasi tutte le nomine degli uffici grandi e piccoli decise in questa consiliatura. D’altra parte, dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni fanno parte tantissimi magistrati fuori ruolo cresciuti nelle file della corrente: su tutti Alfredo Mantovano, il potente sottosegretario-braccio destro della premier. Ma anche i più importanti dirigenti scelti dal ministro della Giustizia Carlo Nordio: il capo di gabinetto Alberto Rizzo, il capo del Dipartimento affari di giustizia Luigi Birritteri, il capo dell’Ufficio legislativo Antonio Mura, il capo del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) Giovanni Russo, il capo del Dipartimento giustizia minorile Antonio Sangermano. Al ministero di via Arenulaper effetto della legge anti-porte girevoli – al momento lavora anche Cosimo Ferri, storico leader di Mi, già deputato di Italia viva e sottosegretario in tre diversi governi, ancora sotto processo disciplinare per aver cercato di orientare la nomina del procuratore di Roma insieme all’ex pm Luca Palamara e all’ex ministro Luca Lotti, nonché per aver accompagnato Amedeo Franco, il giudice “pentito” del processo Mediaset, a casa di Silvio Berlusconi.

L’asse tra Magistratura indipendente e il centrodestra è stato inaugurato fin dalla prima seduta del nuovo Consiglio, dedicata all’elezione del vicepresidente. A differenza degli altri gruppi togati, i conservatori scelgono di appoggiare Fabio Pinelli, avvocato eletto in quota Lega, permettendogli di superare Roberto Romboli, costituzionalista scelto dal Pd. A maggio, poi, i voti di Mi sono decisivi per dare il via libera all’incarico fuori ruolo di Rosa Patrizia Sinisi, ex presidente della Corte d’Appello di Potenza chiamata da Nordio a fare il vicecapo del Dog (Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria) nonostante il suo pesante coinvolgimento in traffici di nomine al Sud, svelato dalle chat sequestrate sullo smartphone di Palamara. Anche qui i sette eletti del gruppo di destra sono gli unici magistrati a esprimersi a favore: persino i consiglieri di Unicost, la corrente di Sinisi, si astengono riconoscendo la gigantesca questione di opportunità. A luglio lo schema si ripete sulla nomina del procuratore di Firenze, capo dell’ufficio che accusa Matteo Renzi e il “giglio magico” per il caso Open e Marcello Dell’Utri per le stragi di mafia del 1993: Mi insieme ai laici vota il membro italiano di Eurojust Filippo Spiezia, gradito a destre e renziani, che prevale sul procuratore di Livorno Ettore Squillace Greco grazie a un solo voto, quello di Pinelli. I togati conservatori si giustificano affermando che Spiezia sia il nome più titolato, nonostante la sua provenienza da un incarico fuori ruolo. Ma appena un mese prima, con motivazioni opposte, l’avevano bocciato nella corsa al posto di procuratore generale di Bologna, preferendogli Paolo Fortuna, capo del minuscolo ufficio inquirente di Aosta.

L’episodio più plateale però deve ancora arrivare: due settimane dopo si vota per autorizzare l’incarico alla Corte europea dei diritti dell’uomo del giudice palermitano Lorenzo Jannelli. Una pratica banale, ma c’è un problema: Jannelli è il gip che ha rinviato a giudizio Matteo Salvini nel caso Open Arms. Così in plenum scatta una rivendicata tattica di ostruzionismo, in cui i laici di centrodestra prima chiedono e ottengono senza apparente motivo il rinvio della discussione, poi tentano di far mancare il numero legale per paralizzare i lavori. In questa operazione, manco a dirlo, vengono spalleggiati dai togati di Mi, che si associano alle richieste di rinvio e alla fine (escluso il palermitano Dario Scaletta) votano contro l’autorizzazione, nonostante Jannelli rispetti ogni requisito previsto per la nomina. Insomma, i precedenti fanno quantomeno sospettare che il rifiuto della corrente di firmare il documento a favore della giudice di Catania sia l’ennesima riproposizione di un patto politico collaudato. Raggiunta dal fattoquotidiano.it, la consigliera Bernadette Nicotra (capogruppo di fatto di Mi in plenum) nega e ribadisce: “Riteniamo che il nostro non sia un ruolo politico e non scendiamo nella contrapposizione tra istituzioni democratiche”. Una tesi contestata dai togati di Area, che ricordano come “la tutela del ruolo che la Costituzione assegna alla magistratura” sia “uno dei compiti che spetta al Consiglio superiore, senza alcuna connotazione politica”. D’altra parte la descrizione più lapidaria di Mi l’ha fatta in un’intercettazione Silvana Saguto, l’ex giudice radiata – e condannata per corruzione – per la gestione distorta dei beni confiscati alla criminalità organizzata: “Quando non capivo niente ero di Mi perché c’era Paolo Borsellino e pensavo che Mi fosse indipendente, tempo tre ore circa mi sono dovuta ricredere di corsa, ma che ne sapevo io giovane uditrice come funzionava?”.

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