Un posto al Dipartimento per gli affari di giustizia (Dag), a stretto contatto con il capo della struttura. Nelle stanze di quel ministero di via Arenula in cui ha già comandato per cinque anni, con tre partiti e sotto tre premier diversi. Ecco la nuova vita di Cosimo Maria Ferri, già giudice, consigliere del Csm, leader di corrente, deputato dem e poi di Italia viva, nel frattempo sottosegretario alla Giustizia nei governi Letta, Renzi e Gentiloni (in quota Pdl, poi Forza Italia, poi Pd). A lungo Ferri è stato potentissimo uomo-cerniera tra politica e tribunali, sfruttando i rapporti di potere cementati in entrambi gli ambienti. Ora, neanche a farlo apposta, il suo è diventato il primo caso di applicazione della nuova normativa “anti-porte girevoli“, contenuta nella riforma dell’ordinamento giudiziario voluta dall’ex Guardasigilli Marta Cartabia. Fallita la rielezione alla Camera con i renziani, infatti, il “geco” (così lo chiamavano nell’entouage di Silvio Berlusconi) ha chiesto al Csm di tornare in magistratura dopo dieci anni di fila di incarichi fuori ruolo. A quel punto però è venuto fuori un ostacolo inaspettato, o forse no: una settimana prima dell’entrata in vigore della nuova legge, Ferri aveva accettato la proclamazione a consigliere comunale di Carrara, dopo aver fallito la corsa a sindaco. Così, per questo minuscolo intervallo, la riforma gli ha “impedito” di rimettersi la toga. E lo ha “costretto” (virgolette d’obbligo) a tornare al ministero fino alla pensione, accanto a Carlo Nordio e a tutti quelli che verranno dopo di lui. Un effetto paradossale, per una legge pensata per ostacolare le carriere ibride.

Trattandosi di una disciplina totalmente nuova, tuttavia, restava l’incognita sul ruolo che gli sarebbe stato assegnato: la legge, infatti, parla genericamente di un incarico “presso il ministero”. Adesso c’è la risposta: l’ex sottosegretario, conferma lui stesso al fattoquotidiano.it, dal 1° giugno ha preso servizio nell’unità di staff del capo del Dag, il sostituto procuratore generale della Cassazione Luigi Birritteri. Come Ferri, Birritteri è un magistrato in ottimi rapporti con la politica: nel 2008 il suo conterraneo Angelino Alfano (entrambi sono originari di Agrigento), nominato Guardasigilli nel quarto governo Berlusconi, lo chiama in via Arenula come vicecapo di gabinetto. Dopo qualche mese trasloca al vertice del Dog (Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria), dove resterà anche sotto i ministri Paola Severino (governo Monti) e Annamaria Cancellieri (governo Letta). Nel 2017 diventa anche consigliere di Stato, nominato dal governo Gentiloni. Birritteri è considerato vicino a Magistratura indipendente, la corrente di cui Ferri è stato a lungo segretario: per sponsorizzare la sua nomina a segretario del Csm, inoltre, Giuseppina “Gippy” Rubinetti (attuale capo segreteria di Nordio) aveva organizzato una cena con l’ex ras delle correnti Luca Palamara (“Ti ricordi che avevamo detto facciamo una cena per Gigi?”), gli scriveva in chat.

Tra le funzioni dell’Ufficio del capo dipartimento, la struttura di supporto a Birritteri in cui Ferri ha preso servizio, rientrano compiti di grande “peso” politico per cui l’esperienza di Ferri sarà certamente preziosa: ad esempio l'”elaborazione dei programmi attuativi degli obiettivi indicati dal ministro” o la “predisposizione delle relazioni periodiche, dei rapporti e dei pareri e delle risposte alle interrogazioni parlamentari“. “Non ho indicato preferenze sull’ufficio a cui essere assegnato, nè era mio diritto farlo. Ha deciso il capo di gabinetto (Alberto Rizzo, anche lui esponente di Mi, ndr). Stimo Birritteri, ma ogni ufficio sarebbe andato bene”, dice Ferri al fatto.it. Per ora i ruoli dirigenziali gli sono preclusi, ma potrà lavorare a stretto contatto col ministro Nordio – con cui c’è stima reciproca – e, nei prossimi anni, tentare la carriera interna. “Sono un magistrato a disposizione del ministero, decideranno loro come utilizzarmi”, dice. La seconda vita del “geco” è appena cominciata.

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