Forse vi siete già fatti un’idea di ChatGPT usandola per la produzione di contenuti specifici (ma non è il caso di questo post) oppure immaginando, magari, quali sviluppi futuristici potrà avere l’AI. Chi ha visto su Apple Tv la serie Foundation, tratta dai romanzi di Isaac Asimov, sa di che parlo. È il momento però di valutare anche l’aspetto di business e finanziario di questo popolarissimo chatbot (l’acronimo sta per Chat Generative Pre-trained Transformer) basato su modelli linguistici e sviluppato da OpenAI. Un software che consente a chiunque di formulare domande e avere in pochi secondi risposte su tutto, generare testi, canzoni, romanzi, anche in format audio e video. In appena dieci mesi (fu lanciata il 30 novembre 2022) è già una delle più grandi storie di successo high tech di tutti i tempi.

La notizia è che il valore finanziario dell’azienda che produce ChatGPT sta salendo rapidamente e com’è giusto, alle stelle. Stante il suo riconosciuto potenziale, OpenAI è in trattative con un gruppo di investitori – i soliti noti, l’élite della Silicon Valley – per vendere azioni in base a una valutazione che in pratica ne ha triplicato la capitalizzazione dai 29 miliardi di dollari di poche settimane fa ai 90 miliardi di dollari oggi. La vendita è rivolta ai fortunati dipendenti (viene in mente la leggenda delle segretarie di Microsoft o di Google che con un identico meccanismo divennero milionarie) e consentirebbe loro di passare all’incasso cedendo i propri titoli già emessi anziché alla società di emetterne di nuovi. Lo scorso aprile OpenAI aveva raccolto poco più di $300 milioni da venture capitalist come Sequoia Capital, Andreessen Horowitz, Thrive, K2 Global, Khosla Ventures e l’immancabile SoftBank di Masayoshi Son. Saranno loro in prima fila a gettarsi sul ricco piatto anche al prossimo giro, con pochi altri privilegiati. Operazione separata dal grande investimento compiuto da Microsoft a gennaio per un valore stimato di circa $10 miliardi che fa del colosso tech il maggior azionista con il 49%.

Sotto la guida del mitico CEO Sam Altman, regista attento anche dell’ingresso dei nuovi soci, il fatturato di OpenAI ha imboccato la fase parabolica subito dopo il rilascio di ChatGPT. Come startup è davvero straordinaria, non solo per gli effetti a catena che il chatbot sta avendo nel campo dell’intelligenza artificiale, ma appunto perché è un’azienda con un team e un prodotto speciali, al punto che quest’anno il fatturato è previsto in 1 miliardo di dollari, con numeri ancora più grandi stimati per il 2024. Oltre a migliaia di aziende che pagano per utilizzare a pacchetto il codice, le entrate salgono grazie ai singoli privati, con 20 dollari al mese tutti possono avere ChatGPT-4, la versione più potente rispetto a quella base. Ineluttabile quindi che le formidabili ambizioni di OpenAI come società leader dell’innovazione tecnologica vadano di pari passo con la raccolta di capitali, con obiettivo finale la quotazione a Wall Street (le maggiori banche d’affari già sono sulla preda). Gli esempi del passato con cui fare i paragoni non mancano. Basti dire che un investimento di 16.000 dollari su Google nell’IPO del 2004 varrebbe adesso 1 milione di dollari, mentre 1000 dollari di azioni Microsoft acquistate all’IPO del 1986, mantenendole a oltranza, corrisponde oggi a un capitale di oltre 3 milioni di dollari. Calcolato a spanne, un incremento di circa +400.000%.

Lo scenario di questo comparto rimane ultracompetitivo. Google, uno dei primi innovatori nell’AI (in pratica della stessa tecnologia di ChatGPT; suo inoltre è DeepMind, da cui deriva il software noto ai giocatori di scacchi AlphaZero) si sta preparando con Gemini a sfidare OpenAI. Nel frattempo, Mark Zuckerberg con la sua Meta/Facebook sta lavorando a una propria potente AI open source, mentre Amazon di Jeff Bezos ha fatto scalpore con un massiccio investimento di 4 miliardi di dollari in Anthropic. Una certezza c’è: ad una valutazione potenziale di $90 miliardi, a meno che il mercato azionario non faccia crash, OpenAI salirà presto nel piccolo olimpo delle startup globali di massimo livello, fianco a fianco con giganti come SpaceX di Elon Musk e TikTok della cinese ByteDance.

In questo clima surriscaldato va inquadrata una notizia geopolitica correlata: anche la CIA ha sviluppato un suo strumento di intelligenza artificiale ispirato, come ovvio, a ChatGPT. Obiettivo, setacciare Internet alla ricerca di informazioni cruciali e potenziali minacce alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti. La motivazione vera è però un’altra, far fronte al problema “numero 1” di Washington, contrastare la posizione dominante della Cina nella tecnologia AI. Sviluppato dalla divisione Open Source Enterprise della CIA, il programma sarà distribuito a tutte le 18 agenzie di spionaggio statunitensi (compresa la NSA) al fine di rafforzare le capacità di intelligence. Washington cerca così, con gran ritardo, di colmare il gap rispetto alle crescenti competenze di Pechino in materia. Il modello rivisto e corretto di ChatGPT servirà alla Central Intelligence Agency per vagliare enormi quantità di dati, aiutando le indagini in corso e fornendo funzionalità avanzate, come rintracciare la fonte originale di qualsiasi informazione.

L’enfasi sull’integrazione dell’AI nelle operazioni di spionaggio dice molto sullo stress americano per tenere il passo con l’avanzamento della Cina. Del resto Xi Jinping ha indicato che il Dragone diventerà leader globale dell’AI per il 2030. Nei romanzi della trilogia Foundation, Asimov aveva descritto un Impero Galattico interstellare che in futuro si estenderà nella galassia composto da 25 milioni di mondi abitati da esseri umani, tutti assoggettati a coloni provenienti dalla Terra, in contrapposizione agli Spaziali. Qui sul pianeta, per ora, ci sono due entità in rotta di collisione, le superpotenze Stati Uniti e Cina, in lotta dura per il dominio geopolitico del mondo. La guerra è combattuta anche con la leadership tecnologica e il predominio nell’intelligenza artificiale, conquiste essenziali prima del conflitto militare.

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