Due punti in più rispetto alle ultime previsioni di Commissione Ue e Ocse, uno in più rispetto a Bankitalia e Fondo monetario internazionale. Che diventano quattro e tre, rispettivamente, se invece del valore tendenziale si prende il pil programmatico, cioè quello che tiene conto della spinta attesa dalla manovra. Sono a dir poco ottimistiche le previsioni di crescita messe nero su bianco dal governo Meloni nella Nota di aggiornamento al Def approvata mercoledì. Secondo il ministero dell’Economia il prodotto interno lordo dovrebbe registrare un progresso dell’1% a bocce ferme e salire dell’1,2% tenendo conto delle misure che entreranno in legge di Bilancio. Contro l’1,4 e 1,5%, rispettivamente, inseriti nel Def della scorsa primavera.

Stime che dovranno reggere alla validazione dell’Ufficio parlamentare di bilancio, l’organismo indipendente che vigila sulle previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica. Anche perché a quei numeri è appeso il calo infinitesimale del debito/pil, dal 140,2 al 140,1%, che consente al ministro Giancarlo Giorgetti di rivendicare con Bruxelles perlomeno la “stabilizzazione” del rapporto. Ma sono realistici?

La premessa è che l’attendibilità di ogni previsione dipende dalla stabilità del contesto e quello internazionale è reso altamente incerto dalla guerra in Ucraina oltre che dalla difficoltà di quantificare le conseguenze della stretta monetaria delle banche centrali e dalla fragilità della ripresa cinese dalla pandemia. Detto questo, la Summer forecast diffusa dall’esecutivo europeo poco più di due settimane fa ha rivisto al ribasso la crescita italiana di 0,3 punti fermandola a +0,9% nel 2023 e +0,8 l’anno prossimo, la performance peggiore tra quelle delle sei maggiori economie della Ue considerate nell’analisi. Lievemente più pessimista sul 2023 (+0,8%) l’interim report dell’Ocse, che concorda però sul 2024. La Banca d’Italia già a luglio aveva rivisto le prospettive limando le attese a un +0,9%, il linea con l’Fmi. Tra le agenzie di rating, Fitch e Morgan Stanley si aspettano un +0,8, Moody’s un misero +0,4%.

Morale: tutto dipenderà dalla capacità di far ripartire gli investimenti mettendo il turbo, rispetto al sostanziale stallo di quest’anno, alla spesa dei fondi del Pnrr, la cui terza rata dopo mesi di attesa dovrebbe essere in dirittura di arrivo. Il Def prevedeva, alla luce della rimodulazione della spesa verso gli anni finali del piano, un impatto sul pil dell’1,8% nel 2024, 2,7 nel 2025 e 3,4 nel 2026. Quando il governo renderà disponibili i testi della Nadef sarà possibile capire se quelle valutazioni sono ancora ritenute attendibili nonostante le modifiche e i definanziamenti proposti a Bruxelles.

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