Quando qualche anno fa ho sentito l’esigenza di aprire delle parentesi di leggerezza nel lavoro, mi è capitato di conoscere libri di: Piccoli Scienziati, Piccoli Filosofi e altri Piccoli Fenomeni, che mi hanno fatto pensare di crearne una versione anche nella psicologia. È nata così l’idea di Piccoli Psicologi: una storia della psicologia raccontata attraverso il susseguirsi delle vite avventurose dei suoi protagonisti. La presunzione è quella di racconti informativi e formativi, che offrano le prime nozioni di psicologia attraverso storie fantastiche, liberamente tratte dalle effettive biografie dei personaggi.

Le storie sono uno strumento antichissimo di comprensione e organizzazione di significati. Raccontare storie è il modo migliore per trasformare informazioni complesse in una narrazione e attraverso di essa suscitare emozioni e favorire la memorizzazione. I bambini sono curiosi, fanno tante domande, spesso i genitori, gli insegnanti, gli altri adulti che li circondano rispondono raccontando storie. Leggere e ascoltare storie è un modo in cui possono costruire gli strumenti per capire se certe cose sono o non sono buone, se le cose che provano sono o non sono sbagliate. Le letture possono rafforzare e articolare quello che gli viene insegnato e allargare le conoscenze. È in questo bisogno di conoscenza che spero si inserisca e sia utile il mio contributo.

Di storie per bambini sui diversi argomenti psicologici ce ne sono tante, mi sembrava che mancasse invece un contenitore storico entro il quale farle scorrere e dar loro un significato, che ricostruisse la storia che certi concetti hanno iniziato tanti anni fa. La mia storia dei Piccoli Psicologi inizia con il personaggio di Anna. Ho voluto iniziare con Anna Freud piuttosto che con suo padre per presentare un personaggio femminile all’interno di un mondo e di un percorso che come molti altri è stato spesso caratterizzato da importanti e ingombranti figure maschili. Ve ne propongo un estratto.

…Anna era affascinata dagli studi di suo padre. Non sapeva perché ma suo padre si riuniva tutte le settimane, il mercoledì pomeriggio, nello studio con alcuni colleghi e parlavano per ore. Spesso Anna sbirciava dentro lo studio attraverso la fessura della porta socchiusa. Era molto curiosa. Avrebbe voluto entrare per ascoltare meglio ma non le era permesso.

A giudicare dai toni sembrava che papà e gli altri dottori parlassero di cose interessanti. Per quanto si sforzasse però non le riusciva mai di sentire un discorso per intero. Quando le cose si facevano interessanti interveniva sempre sua madre: “Anna la devi smettere di origliare le riunioni di papà, non sono cose da bambini!”, poi chiudeva bruscamente la porta dello studio togliendole qualsiasi possibilità di ascolto.

Era così curiosa di sapere cosa succedeva dentro quello studio che spesso ci tornava di nascosto.

Se i genitori uscivano, Anna si intrufolava per vedere se erano rimaste tracce dei misteriosi incontri, magari un libro fuori posto, degli appunti, dei disegni, ma… niente, non trovava mai niente che la aiutasse a saperne di più, per questo si era messa in testa di escogitare un piano: avrebbe trovato un modo di assistere alla riunioni di nascosto.

“Ma sei impazzita?” le diceva una vocina dentro di sé, “vuoi farti mettere in punizione per chissà quanto tempo!?”. “Stai zitta!” rispondeva alla sua coscienza…”. Anna ci pensava e ci ripensava. Non aveva la più pallida idea di come avrebbe fatto. La soluzione le si presentò di lì a poco. Qualche giorno dopo era nello studio, come al solito di nascosto…

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