Come residente nella Regione Veneto non pagherò i 5 euro che la Giunta Brugnaro ha introdotto per chi vuole visitare Venezia a partire dal 2024. È una buona notizia per il popolo veneto, e così potrò personalmente risparmiare 15-20 euro all’anno. Forse è per questo che il governatore Zaia, che è alla ricerca del suo quarto mandato, sta zitto sulla questione.

L’introduzione di una tassa di accesso è una buona mossa, oppure fa parte del repertorio populista e avventuroso della destra italiana, poco utile per affrontare i problemi della città lagunare?
Diciamo che Venezia è in buona compagnia nell’usare questo modo per difendersi dall’overtourism. Una strada simile è stata seguita dal Direttore degli Uffizi che, per smaltire le code, ha pensato bene di portare il biglietto di ingresso a 25 euro, mentre quando è stato nominato era di appena 8 euro.

Questo peraltro è metodo suggerito dagli economisti in quanto rispetta una ferrea legge economica. Quando per un bene o un servizio c’è un eccesso di domanda, come accade nelle nostre città turistiche a volte sovraffollate, il metodo migliore per ridurre l’ingorgo consiste nell’aumentare il prezzo della fruizione. La logica economica non fa una grinza: quando il prezzo sale l’affollamento si riduce. E così anche Venezia ha deciso di ricorrere a questo metodo, razionando gli ingressi con l’introduzione di un ticket di ingresso. Ma questa decisione, oltre che essere razionale economicamente, è anche giustificabile su di un piano più generale e quindi giusta?

Sulla razionalità economica c’è poco da dire. Una città d’arte come Venezia, intrinsecamente fragile, deve essere difesa dal turismo da affollamento. La moderazione degli afflussi renderebbe migliore la vita dei residenti, dei turisti di serie A che vogliono godersi la città lagunare dalla finestra del loro hotel, ma anche degli stessi turisti giornalieri, quelli di serie B mordi e fuggi. Un riequilibrio appare del tutto necessario e giustificato. Come i veneziani hanno chiesto ed ottenuto il Mose per salvarsi dall’acqua alta, ora tentano, costruendo delle barriere all’entrata, di difendersi legittimamente dal livello egualmente elevato del flusso turistico indesiderato nei giorni di colmo.

Se una qualche forma di programmazione appare del tutto giustificata, peraltro in pochi periodi bene individuati, è lo strumento scelto che appare discutibile, cioè far pagare una tariffa di ingresso. L’assessore dice che si tratta di un contributo per coprire il costo, ma non sembra molto credibile. Per esempio, qualche mese fa sempre l’Amministrazione Comunale di Brugnaro ha aumentato la tassa sugli scali aerei portandola da 6,5 euro a 9 euro per tappare i suoi buchi di bilancio. Ora viene introdotta la tassa per l’ingresso via terra che porterà altre risorse fresche.

Poi, chi va a Venezia deve affrontare altre tasse. Una tassa implicita è l’esoso costo del vaporetto, anche per piccole tratte (7,5 euro per chi non ha carta Venezia). I turisti giornalieri contribuiscono non poco a sostenere i costi elevatissimi, immagino, della mobilità lagunare. I biglietti dei musei non sono proprio economici e così via. Se ai costi già elevati sommiamo anche i 15-20 euro che una famiglia, non veneta, dovrà sopportare, il turismo a Venezia diventerà un affare per gente abbastanza benestante.

E questa è la critica generale: il mercato discrimina in base al reddito e rischia di far perdere a molti delle opportunità di crescita culturale, come ha illustrato Sandel nel suo magistrale “Quello che i soldi non possono comprare”. Insomma, c’è il rischio che a forza di tasse, grandi o piccole, la doverosa visita a Venezia e al suo patrimonio culturale diventi un costoso bene di lusso.

Si può coniugare una razionalità gestionale con il rispetto di un elementare principio morale di pari opportunità per tutti? Sicuramente, basta eliminare l’elemento monetario. L’esempio del Mose ci viene in aiuto. Non mi risulta che il sistema delle dighe mobili sia stato pagato dai veneziani o dalla Regione Veneto. Le risorse economiche per la sua realizzazione, circa 6 miliardi mi pare, sono state poste a carico della comunità. Un qualcosa di simile si potrebbe pensare anche per limitare gli accessi.

La spesa della complessa macchina di controllo potrebbe essere fatta ricadere sulle casse statali. In questo modo la città sarebbe fatta salva dalla marea umana e al turista giornaliero si chiederebbe solo un piccolo sforzo di prenotazione. Non si potrà più decidere di andare a Venezia il sabato per la domenica, come accade ora. Ma questo ci può stare.

Oppure, si potrebbe optare per una strada differente trasformando il ticket in una forma di rimborso per le spese poi sostenute. Ecco allora che i 5 euro potrebbero essere scontati quando il modesto e molesto turista giornaliero consuma qualcosa al bar, compra il biglietto di un museo o sale sul vaporetto. In questo modo non ci sarebbe più la tassa di ingresso a Venezia, ma solo un piccolo anticipo, poi rimborsato.

Venezia ormai è diventata la città delle tre tasse per il mondo dei turisti: di soggiorno, aeroportuale e ora anche per l’accesso. Non male per una Giunta di destra che dovrebbe eliminarle o almeno abbassarle.

Se poi vogliamo ampliare lo sguardo, la vera minaccia per la città non è quella che viene dall’esterno, dai turisti giornalieri, ma quella che viene dall’interno, cioè dallo stesso business turistico. Una mia conoscente, nata a Venezia, ha già affidato l’appartamento vicino a San Marco, recentemente ereditato, ad una nota agenzia per gli affitti brevi. Allora, come si introduce un ticket per i minacciosi turisti giornalieri, bisognerebbe introdotte una extra-tassa per scoraggiare gli affitti brevi che, come l’esperienza insegna, sono molto più pericolosi perché distruggono l’equilibrio sociale ed urbano, non solamente a Pasquetta o a Carnevale, ma tutto l’anno.

Su una cosa Brugnaro ha ragione, la città con il ticket non sarà più come prima, ma sarà migliore? Staremo a vedere. Una cosa non deve accadere, che il turismo giornaliero si trasformi in una miniera d’oro per le casse comunali. Abbiamo già dato tanto a Venezia, anche la città lagunare qualcosa deve pur restituire, anche se con un po’ di affollamento. Perché poi i veneti siano risparmiati, non si capisce, ma fa parte di quel casalingo federalismo fiscale che consiste nel far pagare il servizio agli altri, esempio chiaro e molto negativo di cosa può succedere con l’autonomia differenziata.

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