In occasione dell’odierna Giornata internazionale delle vittime di sparizione forzata, Amnesty International ha invitato a Beirut famiglie di persone scomparse in Iraq, Libano, Siria e Yemen per sostenere le loro richieste di verità, giustizia e riparazione.

Da decenni, in tutto il Medio Oriente, autorità di stato e attori non statali fanno sparire e rapiscono persone per stroncare il dissenso, rafforzare il potere e diffondere il terrore nelle rispettive società.

La maggior parte dei governi di quella regione non indaga sulle sparizioni né fornisce dati attendibili sulle persone scomparse. Ciò nonostante, le organizzazioni della società civile e gli organismi delle Nazioni Unite cercano di tener conto delle persone rapite e fatte sparire stato per stato.

Così, moltiplicando il numero delle persone scomparse per una stima in difetto degli anni trascorsi dalla loro sparizione, si scopre che le famiglie hanno passato oltre un milione di anni in attesa di una risposta. Ciò nonostante, instancabilmente, continuano a rivendicare il diritto di sapere cosa sia accaduto ai loro cari e di ottenere giustizia e riparazione, spesso correndo grandi rischi.

L’Iraq è tra gli stati al mondo col maggior numero di vittime di sparizione forzata: le Nazioni Unite stimano che dal 1968 le persone scomparse siano state tra 250.000 e un milione. Ancora oggi, persone scompaiono ad opera di milizie affiliate al governo. I vari governi che si sono succeduti al potere non hanno svolto alcuna azione significativa per indagare sulle sparizioni e portare di fronte alla giustizia i responsabili.

In Libano, secondo dati ufficiali, dal 1975 al 1990 – gli anni della guerra civile – sono scomparse o sono state rapite 17.415 persone. Ogni anno il 13 aprile, anniversario dell’inizio di quel quindicennio, le famiglie delle persone scomparse o rapite si riuniscono intorno allo slogan “Ricordiamo, non ripetiamo”.

Le autorità libanesi hanno amnistiato gli autori dei crimini commessi durante la guerra civile ma nel 2018, dopo un campagna durata anni, le famiglie delle persone scomparse hanno costretto il governo ad ammettere il fenomeno delle sparizioni. È stata istituita per legge la Commissione nazionale per le persone scomparse e le vittime di sparizione forzata col compito di indagare su casi specifici, riesumare fosse comuni e avviare procedure di rintracciamento.

C’è poi la Siria: dal 2011 le autorità siriane si sono rese responsabili, nella più completa impunità, della sparizione forzata di decine di migliaia di oppositori o presunti tali – attivisti politici, manifestanti, difensori dei diritti umani, giornalisti, avvocati, medici e operatori umanitari – nell’ambito di un attacco massiccio e sistematico contro la popolazione civile, che costituisce un crimine contro l’umanità. Migliaia di persone sono state rapite dai gruppi dell’opposizione armata, tra i quali lo “Stato islamico”.

Le famiglie degli scomparsi si stanno rivolgendo ai meccanismi della giustizia internazionale. Il 29 giugno 2023 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha istituito un organismo col compito di fare luce sulla sorte delle persone scomparse e rapite dall’inizio del conflitto armato.

Le organizzazioni per i diritti umani dello Yemen hanno documentato 1547 casi di sparizione forzata dal 2015. Tutte le parti in conflitto, tra cui il gruppo armato huthi e il governo riconosciuto dalla comunità internazionale, stanno tuttora commettendo tali crimini impunemente, nel disinteresse del mondo. Nel 2021, su pressione dell’Arabia Saudita, il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha posto fine al mandato del Gruppo di eminenti esperti sullo Yemen.

Da allora, i tentativi di chiamare i responsabili delle sparizioni a rendere conto delle loro azioni di fronte alla giustizia e di garantire il diritto dei familiari delle vittime alla riparazione sono fermi.

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