di Carmelo Sant’Angelo

“Ponte: costruzione che congiunge tra loro due punti fissi sul terreno, divisi da un ostacolo naturale o artificiale”. In Sicilia tale ostacolo si chiama “malamministrazione”. È la giusta nemesi per un’isola condannata, dalla sua posizione geografica, ad essere un ponte tra culture provenienti da tutte le sponde del Mediterraneo.

A scanso d’equivoci, non sto parlando dell’araba fenice, che brucia in volo tra Scilla e Cariddi e rinasce ciclicamente dalle ceneri dei vecchi ruderi della politica. Mi riferisco, invece, a tutti quei ponti siciliani ingiustamente sconosciuti al vasto pubblico. Eppure non sono sogni, ma solide realtà, come recitava un vecchio refrain pubblicitario. Alcuni sono vere e proprie opere d’arte, sospesi nel vuoto, a sugellare il coniugio tra il nulla con l’ignoto.

Nell’effimera stagione dell’anticasta, erano definiti monumenti allo spreco del denaro pubblico, opere incompiute, svuotate di significato. Agli occhi dei profani appaiono inutili ed inespressivi. In realtà sono il più evidente anello di congiunzione tra la prima e la seconda repubblica. Progettati alla fine degli anni 70, i lavori vennero avviati alla fine degli anni 80, rimanendo orfani, proprio nell’età dello sviluppo, dei loro munifici genitori, spazzati via dalla rivoluzione (anch’essa incompiuta!) giudiziaria del tribuno molisano. Fulgido esempio è il ponte incompiuto di Siculiana Marina, che fiero si staglia nel cielo azzurro scrutando le spiagge più affascinanti dell’agrigentino.

Con ostinata determinazione, invece, vide la luce lo svincolo di Irosa. Una gestazione durata 30 anni per collegare alcuni comuni delle Madonie con l’autostrada Palermo-Catania tra gli svincoli di Tremonzelli e Resuttano. Vivono, invece, una vita di stenti i ponti ed i viadotti della provincia di Messina. Tra i comuni di Milazzo e Patti, nell’oblast di Barcellona Pozzo di Gotto, solerti amministratori pubblici ci ricordano che l’Ucraina è vicina.

Viadotti, a rischio crollo, posti sotto sequestro dall’A.G. il cui transito è interdetto o benevolmente concesso in senso alternato. Il torrente del Mela, che con il suo esangue rigagnolo divide la piana di Milazzo, ha reso i comuni contigui di Barcellona P.G. e Milazzo due coniugi separati in casa. Possono incontrarsi in quel desolato corridoio che è l’A20 oppure fugacemente sulla strada nazionale che scorre ai piedi dei Peloritani. Impervi tragitti per suturare la trama di un tessuto sociale squarciato dall’insipienza della politica locale e regionale.

Due comunità, che dividono le stesse risorse (pronto soccorso; tribunale; polo commerciale; scalo marittimo; scuole secondarie ecc.), divise dall’incapacità di progettare e dare risposte concrete ai cittadini. Un altro schiaffo all’utopia dell’artista Emilio Isgrò che agognava per le due comunità la riunione in un unico comune: Duilia.

Ancora peggio è andata al comune di Terme Vigliatore (assurto agli onori della cronaca grazie all’istrionico ex responsabile on. Scilipoti) dove la chiusura del ponte Termini ha complicato i collegamenti con la città del Longano. Agli autobus, che tra qualche mese dovranno accompagnare gli alunni nelle scuole secondarie, è interdetta l’uscita allo svincolo autostradale di Barcellona, ma dovranno proseguire fino allo svincolo di Milazzo e tornare indietro utilizzando la strada nazionale. Partendo alle 6,30 del mattino rischieranno di arrivare in orario.

I cahiers de doléances potrebbero proseguire percorrendo la costa tirrenica della provincia di Messina, fino ad arrivare a Tusa, meta estiva dell’ex governatore Crocetta. Ma sarebbe un esercizio inutile perché nessuno si occuperà di questi ponti e viadotti, tutti figli illegittimi dell’incapacità politica. La prestigiosa rivista d’ingegneria edile “Topolino” non dedicherà loro nessuna copertina e, pertanto, non riceveranno l’attenzione del ministro Salvini.

Per quanto tempo ancora in Sicilia dovremo declinare la parola “ponte” solo al singolare?

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