Il confine alpino tra l’Italia e la Francia passa in mezzo a un campo da golf. Non si vede ma c’è. Una pallina può attraversarlo, ma una bambina di un anno no. Viene fermata dalla polizia francese mentre insieme ai suoi genitori prova a passare la frontiera camminando sui sentieri a oltre 1700 metri d’altitudine. Vorrebbero chiedere asilo in Francia ma la polizia li intercetta nei boschi e li rispedisce indietro. Un destino che riguarda sempre più persone.

Da qualche settimana il numero dei migranti lungo la rotta alpina che passa da Claviere è aumentato. “Siamo arrivati a contare anche 150 persone in una sola notte” racconta Elena, una delle operatrici del Rifugio Fraternità Massi di Oulx. Un “porto sicuro” nato nel dicembre 2021 grazie a tante realtà come Talitá kun, Rainbow4Africa, la diaconia valdese, On Borders, Medu, Croce Rossa e grazie a 170 volontari che si alternano per garantire un aiuto alle persone in transito. Nel solo mese di luglio più di mille migranti sono stati ospitati qui. Il 10 per cento sono minori stranieri non accompagnati che per il diritto europeo dovrebbero poter passare il confine, ma non gli viene consentito.

“Rispetto agli anni scorsi, nel 2023 abbiamo visto che la maggior parte delle persone proviene non più dalla rotta balcanica ma direttamente da Lampedusa – spiega l’antropologo Piero Gorza di On Borders – non più afghani e iraniani, ma arrivano per lo più dall’Africa Subsahariana e sono sbarcati in Italia da poche settimane”. Un cambio che comporta delle nuove difficoltà per queste persone. “Non sono abituati a camminare in montagna sui sentieri di notte e per di più continua la ‘caccia all’uomo’ da parte della polizia di frontiera francese”. Il risultato è che la rotta alpina diventa sempre più difficile per i migranti che per evitare i gendarmi si spingono su sentieri sempre più in alto. E i rischi aumentano. “Siamo partiti in sei ma quando abbiamo visto la polizia siamo scappati sparpagliandoci tra i boschi – racconta un ragazzo che ha poco più di vent’anni e che proviene dalla Costa d’Avorio – mi sono perso, ero in mezzo alla neve e presto le mani mi si sono congelate. Non riuscivo più a camminare. Ho avuto paura di morire”. Ma è riuscito a chiamare la Croce Rossa che lo ha salvato riportandolo al rifugio.

L’elenco di chi non ce l’ha fatta a salvarsi continua però ad allungarsi. Lunedì mattina il corpo di un migrante morto è stato trovato sui sentieri tra Monginevro e Briancon, sul lato francese. L’ennesima vittima che si aggiunge a quelle degli scorsi anni. “Non siamo di fronte ad un fatto tragico ed eccezionale, ma ad una concreta eventualità che si ripropone ogni giorno ad ogni respingimento”, spiega l’associazione On borders che ha contato dieci morti accertati negli ultimi anni. Persone a cui è difficile dare un volto e un nome. Nel 2018 Blessing è morta mentre scappava dalla polizia, nel 2022 Fahtallah è stato trovato morto nella diga vicino a Modane, nello stesso anno il 14enne Aullar è morto stritolato dal treno a Salbeltrand. “Non è la montagna che uccide ma il sistema di frontiera – scrive On Borders – i morti nel Mediterraneo, a Cutro, a Ventimiglia e sulle Alpi sono il risultato di una stessa pianificata politica dell’orrore”.

Le attività di soccorso e accoglienza su questo confine non si fermano mai, neanche d’estate. E quando c’è bisogno di letti aggiuntivi perché il rifugio di Oulx è pieno, i corridoi del polo logistico Cri di Bussoleno si riempiono di brandine per ospitare le persone in transito. “In Valsusa viviamo il riflesso della situazione che sta vivendo l’Italia – racconta Michele Belmondo del Comitato della Croce Rossa di Susa facendo riferimento ai 2 mila sbarchi del mese di luglio – ma non si può parlare di emergenza perché quello della migrazione è ormai un fenomeno strutturale che va avanti da anni”. Piuttosto sul lato italiano si va “un pochino più in difficoltà quando la frontiera diventa impermeabile per le condizioni meteo avverse o per i maggiori controlli da parte della polizia di frontiera”. E i governi italiani che si sono succeduti continuano “a lavarsene le mani” come spiega Gorza. “I decreti Cutro, la legge 50 e gli accordi con la Tunisia finiranno solo con il rendere più pericoloso il cammino dei migranti – conclude l’antropologo – dunque il risultato sarà la clandestinizzazione di queste persone e l’arricchimento dei trafficanti oltre a un costo umano altissimo perché puoi bloccare un accesso, ma si apriranno nuove rotte più pericolose con più morti. La gente non può né tornare indietro né restare, l’unica possibilità per loro andare avanti”. La migrazione, del resto, come spiega il ragazzo ivoriano “è un fenomeno naturale e non si può fermare. Proprio per questo occorre cambiare le leggi”.

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