L’annuncio doveva arrivare entro questa settimana, probabilmente se ne riparlerà a settembre. Ma che Azione e Italia viva separeranno anche i gruppi parlamentari è ormai considerata una certezza. A mandare del tutto in frantumi il fu Terzo polo – dopo il naufragio del progetto di partito unico lo scorso aprile – è stato il “Twiga-gate“, il pranzo dei colonnelli renziani Maria Elena Boschi, Francesco Bonifazi e Luciano Nobili allo stabilimento balneare della ministra del Turismo Daniela Santanché, rivelato dal Corriere e avvenuto pochi giorni prima del voto al Senato sulla mozione di sfiducia presentata nei suoi confronti. Un’iniziativa che Carlo Calenda ha definito “del tutto inopportuna“, innescando la reazione di Matteo Renzi che lo ha accusato di “grillismo”. Poi il duello si è spostato sul campo dell’elezione diretta del premier, oggetto di un ddl costituzionale presentato dal leader di Iv e contestato da quello di Azione. Finché, il 2 agosto, il deputato renziano Roberto Giachetti non ha lanciato il sasso dall’emittente di partito, Radio Leopolda: “Ha ancora senso che Azione e Italia viva continuino a stare insieme? Diamo un elemento di chiarezza, ognuno starà dalla sua parte”. Provocazione che l’ex ministro dello Sviluppo economico ha subito raccolto: “I gruppi lavorano bene insieme su molte questioni di merito. Ma non vi è dubbio dal salario minimo alla Commissione Covid e all’elezione diretta del premier stanno emergendo differenze rilevanti“.

Da quel momento entrambi i partiti hanno iniziato a ragionare sul proprio futuro parlamentare. Alla Camera non ci dovrebbero essere problemi: Azione ha 11 deputati e Italia viva dieci, la soglia minima (in teoria) è ancora di venti ma sono già state concesse deroghe a gruppi dalla consistenza analoga (Alleanza Verdi e Sinistra e Noi moderati). Al Senato, invece, i calendiani rischiano la beffa: avendo diviso a metà con Iv le posizioni eleggibili (nonostante i sondaggi li accreditassero di oltre il doppio dei voti) si sono ritrovati con soli quattro scranni, insufficienti a formare un gruppo autonomo, mentre i renziani – con l’arrivo dal Pd di Enrico Borghi, nuovo capogruppo – hanno i sei necessari. Così negli ultimi giorni si è affacciata l’ipotesi di un patto di Azione con il gruppo Per le Autonomie (capeggiato da Julia Unterberger della Sudtiroler Volkspartei) o “prestito” di senatori dem, e in particolare di Tatiana Rojc, parlamentare friulana, che però ha smentito con nettezza. Se l’operazione non riuscisse, Calenda e i suoi dovrebbero traslocare nel gruppo Misto, con tutto quello che ne consegue in termini di fondi e possibilità di incidere nei lavori parlamenteri. Oltre al danno, poi, ci sarebbe la beffa: il Misto a Palazzo Madama è presieduto dall’ex sottosegretario all’Istruzione Peppe De Cristofaro di Alleanza Verdi e Sinistra, un vecchio comunista d’osservanza. “Sono i benvenuti. Però, ecco, dovremo cercare di convivere. Trovare un modo per parlarci, fare assemblee. Di certo non condividiamo un percorso politico, ma alcune cose le dovremo pur sempre fare assieme”, ha detto oggi al Foglio.

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