I cambiamenti climatici sono arrivati, dopo anni in cui se ne discute senza far nulla. Convegni, congressi, rapporti, volumi e volumi di libri, documentari, podcast e film non li hanno fermati e ormai il clima è ufficialmente diventato il nostro nemico. Eh già, perché l’effetto più pericoloso di questo fenomeno non è il caldo torrido che quest’estate ci assilla, ma l’imprevedibilità del clima che lo rende nefasto. Senza certezze stagionali e nella quotidianità di eventi climatici un tempo considerati straordinari – pensate alla grandinata di palle da tennis di ghiaccio che si è abbattuta sul Nord Italia pochi giorni fa o al tornado milanese – tutto si disgrega, dall’agricoltura all’informazione, dall’edilizia al turismo, dalla sanità alla scuola.

Il nemico clima ha già da tempo iniziato a sfaldare la struttura sociale dei paesi poveri e anche di quelli ricchi, ma noi non ce ne siamo ancora accorti. O forse facciamo finta di non accorgercene? Alla radice dei flussi migratori che da anni portano centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini verso casa nostra c’è in primis il clima. Il fiume umano che viaggia da sud a nord è alimentato dalla desertificazione dell’Africa, la gente scappa dalla povertà e dalla fame causata dal clima. E questa tragedia diventa terreno fertile per la criminalità e il jihadismo. Ma anche a casa nostra la pressione migratoria crea crepe profonde nella società, i migranti sono percepiti come i nemici, sono bottino delle mafie, alimentano un nazionalismo razziale, l’italianità di sangue.

Presto, tra forse poco più di un decennio, l’erosione sociale del nuovo, capricciosissimo clima trasformerà anche il sud Europa in un deserto di polvere dove non crescerà più nulla. Ulivi bruciati da violenti fuochi estivi, vigne sradicate da tifoni tropicali, mari infestati da colonie di meduse, orti martoriati da giganteschi chicchi di grandine e poi alluvioni che spazzano via macchine, case, persone. Questo non è un film di fantascienza, ma il nostro futuro.

Alcune proiezioni prevedono che nel 2050 il clima di Londra sarà simile a quello di Barcellona e quello svedese assomiglierà all’ungherese, l’Italia invece diventerà il Sahara europeo. Se fosse vero i nostri figli e nipoti non avranno scelta, dovranno migrare a Nord. Cosa farà l’Unione Europea, o meglio: in questo contesto esisterà ancora questa organizzazione sovranazionale? Oppure il Vecchio Continente tornerà ad essere dilaniato da guerre territoriali per conquistare i pochi spazi dove si potrà ancora sopravvivere?

La distopia climatica è un tema che pochi hanno affrontato seriamente e che almeno fino ad ora è rientrato nel genere letterario di fantascienza, ma da anni è una realtà politico-sociale. Nazioni del sud-Sahara sono scivolate nella categoria di stati falliti a seguito dell’impoverimento della popolazione causato dai cambiamenti climatici. A contribuire alla nascita della pirateria nell’Africa orientale e occidentale non sono state solo le guerre civili e le grosse flotte di pesca cinesi e giapponesi, ma anche gli spostamenti della colonnina di mercurio verso l’alto.

È questa la storia di una tragedia annunciata che ahimè nessuno sa come evitare. E infatti il punto cruciale è proprio questo, il problema è globale e richiede una soluzione globale che nessuno è in grado di formulare. Eppure, la tecnologia per creare un mondo ad emissione zero già esiste e i possibili guadagni di una riconversione industriale sono facilmente prevedibili, manca la volontà collettiva. Sembra che sia molto più facile coalizzarsi per fare le guerre che farlo per evitare l’olocausto climatico.

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