Il governo Meloni ha intenzione di negoziare con la Commissione europea, nel contesto della rimodulazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, anche una revisione al ribasso dell’obiettivo di riduzione dell’evasione fiscale. Al momento è previsto che a fine piano l’Italia dimostri che nel 2024 la “propensione all’evasione”, cioè la differenza tra il gettito che l’erario incasserebbe in un mondo di contribuenti onesti e quello effettivo, è calata del 15% rispetto al valore base del 2019. Grazie a una serie di misure che vanno dall’introduzione delle sanzioni per chi non accetta pagamenti elettronici (intervento che l’esecutivo lo scorso anno ha tentato di circoscrivere per poi fare marcia indietro) all’analisi del rischio attraverso l’incrocio delle banche dati anonimizzate. Ma, come spiega il documento diffuso durante la riunione della cabina di regia sul Pnrr, secondo il ministero dell’Economia “vi sono alcune ragioni oggettive che suggeriscono la modifica del target“.

Quali sono le cause che giustificherebbero una riduzione degli ambiziosi obiettivi concordati nel 2021? “Il comportamento dei contribuenti”, argomenta il Mef, “è influenzato anche da fattori esogeni, in particolare dalle condizioni macroeconomiche, al di fuori del controllo delle autorità preposte all’efficiente gestione
del sistema tributario”. Insomma: se l’economia va male le persone sono indotte a essere meno fedeli ai doveri fiscali: per far fronte alle altre spese non pagano le tasse. Lo Stato, ammette via XX Settembre, può farci poco. E, nonostante le stime confortanti sull’andamento del pil rivendicate dalla premier, le imprese si trovano proprio in quella condizione perché, stando ai dati riportati nel documento, risentono a scoppio ritardato della crisi da Covid: “Sono visibili evidenti segnali di deterioramento della liquidità, con rischio di ulteriore crescita da qui al 2024, anno nel quale era stata prevista la riduzione più significativa della propensione all’evasione. I dati diffusi dal Sole 24 Ore e Cerved Rating Agency a maggio 2023 mostrano un tasso di default aumentato del 360% nel primo quadrimestre del 2023 rispetto al primo quadrimestre del 2022″. Di qui il suggerimento di “modificare l’obiettivo dei due target (5% di calo del tax gap nel 2023 e 15% nel 2024, ndr) con obiettivi, sempre relativi al contrasto all’evasione, rientranti nella sfera di controllabilità dell’amministrazione finanziaria e dell’autorità di governo”.

Secondo Alessandro Santoro, presidente della commissione istituita dal Mef per preparare la Relazione annuale sull’evasione fiscale e contributiva, la modifica è “giustificata a certe condizioni”. Quali? “Il tax gap (differenza tra il dovuto e quello che viene effettivamente pagato ndr) deriva in parte dall’omessa dichiarazione, in parte dall’omesso versamento di chi ha dichiarato ma non versato”, spiega Santoro, docente di Scienza delle Finanze all’università Bicocca. “È in effetti plausibile che quest’ultimo aumenti quando il ciclo economico peggiora e le imprese hanno bisogno di liquidità. Se dalle prossime relazioni emergesse che nel 2020 e 2021 la crisi pandemica ha fatto salire l’evasione da omesso versamento, raggiungere l’obiettivo fissato per il 2024 diventerebbe più difficile. E il governo potrebbe ragionevolmente chiedere a Bruxelles di non tener conto di quella componente”.

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