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L’Iraq sta per mettere il bavaglio definitivo alla libertà d’espressione

L’Iraq sta per mettere il bavaglio definitivo alla libertà d’espressione
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Il presidente del parlamento iracheno, Mohammed al-Halbousi, è stato chiaro: siamo pronti per il voto finale. Il voto riguarda due pessime leggi: la prima a proposito della libertà d’espressione e di manifestazione pacifica, la seconda sui reati informatici. Peraltro, su quali testi esattamente si voterà lo sanno solo i parlamentari. Nelle ultime settimane sono circolate voci su emendamenti peggiorativi, ma i gruppi per i diritti umani e la stampa locale non sono ancora riusciti a trovarli.

Il testo della legge sulla libertà d’espressione approvato in prima lettura vieta ogni contenuto contrario alla “morale pubblica, tra cui “le offese alla religione, alle autorità religiose e alle sette” e le espressioni che “sminuiscono le figure o i simboli religiosi”. In un paese in cui i leader religiosi hanno un ruolo determinante, anche alla guida di partiti politici, questa legge imporrebbe un bavaglio completo a qualsiasi crimine. Pene previste: da una multa di 10 milioni di dinari (circa 7600 euro) a 10 anni di carcere.

Inoltre, la legge prevede che le manifestazioni debbano essere autorizzate dalle autorità almeno cinque giorni prima della data di svolgimento e non precisa quali criteri verranno adottati per prendere la decisione.

Le legge sui reati informatici criminalizza i contenuti “che provocano disordini o tensioni settarie” e che “mettono in pericolo l’indipendenza, l’unità e il benessere del paese” così come “gli interessi supremi del paese nel campo economico, politico, militare o di sicurezza”. Nel migliore dei casi, è prevista una multa di 50 milioni di dinari (circa 38.000 euro), nel peggiore una condanna all’ergastolo.

Secondo una ricerca congiunta di Amnesty International e della Fondazione INSM per i diritti digitali in Iraq, il terreno è stato preparato assai bene nei mesi precedenti da una campagna avviata dal ministero dell’Interno contro i “contenuti indecenti” pubblicati sulle piattaforme social. Tra gennaio e giugno di quest’anno, sono state aperte inchieste nei confronti di almeno 20 utenti delle piattaforme social: sei sono stati condannati ad alcuni mesi di carcere e poi liberati. Uno di loro, un attore, ha così commentato la situazione:

“Non posso più fare battute su un partito, sullo stato ma neanche sulle strade, sull’acqua, sulle scuole, sui ponti. Tutto appartiene ai partiti, ogni cosa che potrei dire sarebbe un ‘contenuto indecente’”.

Sotto processo è, invece, il giornalista Haidar al-Hamdani che, in un video sul suo profilo Facebook (che ha oltre un milione di follower) ha accusato il governatore di Bassora di corruzione.

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