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Studioso di Harvard annuncia di aver trovato la prova della vita extraterrestre sul fondo dell’Oceano Pacifico. E le autorità locali gli danno la caccia

“Le nostre scoperte aprono una nuova frontiera dello studio di ciò che si trova al di fuori del sistema solare”, ha affermato Avi Loeb, il professore e astrofisico dell’Università di Harvard , che ha guidato la spedizione come scienziato capo

di 30science per Il Fatto

A raccontarla sembrerebbe la storia di un B Movie. Un eccentrico professore venuto dagli Usa che in un paradiso esotico trova gli alieni e viene poi “inseguito” dalle autorità locali, magari in una scena a velocità accelerata come quelle di Benny Hill. E invece, come sempre ( più o meno) la realtà supera l’immaginazione. Un astrofisico dell’Università di Harvard sostiene, infatti, di aver trovato la prova della vita extraterrestre non studiando il vasto cielo notturno, ma setacciando il fondo dell’Oceano Pacifico. Il suo equipaggio a bordo di una nave chiamata Silver Star ha intrapreso una spedizione in Papua Nuova Guinea con la missione di recuperare frammenti di una misteriosa meteora che si era schiantata sulla Terra nel 2014.

Durante l’escursione di due settimane, il team ha perlustrato oltre 100 miglia di fondali oceanici prima di recuperare 50 minuscole sfere composte da una sostanza metallica che, secondo loro, non ha eguali a nessuna delle leghe esistenti nel nostro sistema solare. “Le nostre scoperte aprono una nuova frontiera dello studio di ciò che si trova al di fuori del sistema solare”, ha affermato Avi Loeb, il professore e astrofisico dell’Università di Harvard , che ha guidato la spedizione come scienziato capo. Si ritiene che i frammenti scoperti dal team provengano da un meteorite delle dimensioni di un pallone da basket che nel 2014 si è schiantato nell’atmosfera terrestre e nell’Oceano Pacifico occidentale. Loeb nel 2019 ha identificato l’origine interstellare della meteora in un paper che ha scritto insieme allo studente universitario di Harvard Amir Siraj. Tre anni dopo, il comando spaziale degli Stati Uniti confermò ulteriormente in una lettera del 2022 alla NASA che l’oggetto – considerato una meteora interstellare, IM1 – proveniva da un altro sistema solare. La spedizione da 1,5 milioni di dollari guidata da Loeb era destinata proprio a recuperare i possibili frammenti della meteora rimasti sul fondo dell’Oceano Pacifico vicino all’isola di Manus in Papua Nuova Guinea. Tra il 14 e il 28 giugno, l’equipaggio ha perlustrato oltre 108 miglia del fondo oceanico setacciandolo con dei magneti. “Quando abbiamo raccolto i magneti, il materiale più abbondante ad essi attaccato era una polvere nera di cenere vulcanica”, ha scritto Loeb su Medium.com.

Ma dopo una settimana in mare, finalmente è arrivata la svolta che Loeb stava cercando: delle sferule che misurano da 0,1 mm a 0,7 mm di diametro e che si ritiene siano i residui della meteora. L’equipaggio ha portato le 50 sferule negli USA per analizzarle a fondo. Loeb ha ipotizzato che i frammenti potrebbero essere di “origine tecnologica”, sebbene altri scienziati ritengano che la speculazione sia prematura, ha riferito il “Sunday Times”. Ad ogni modo la rimozione delle sferule ha fatto infuriare molti funzionari della Papua Nuova Guinea, che hanno accusato il team di aver aggirato i canali convenzionali di licenza e di aver rimosso le sferule senza un chiaro accordo sui vantaggi che una tale scoperta avrebbe avuto per il Paese. “Siamo stati ingannati”, ha detto George Penua Polon, vice amministratore della provincia di Manus. “Sono venuti qui, nessuno lo sapeva e ora se ne sono andati. Cosa hanno trovato? Ha valore? Abbiamo diritti su di esso? Se si tratta di ricerca scientifica, come ne trarranno vantaggio le nostre istituzioni scientifiche?” Secondo il National Research Institute della Papua Nuova Guinea, che coordina le domande di ricerca di scienziati stranieri, il team di Loeb non li ha contattati.

Il team sarebbe arrivato con visti d’affari piuttosto che con visti di esenzione speciali che vengono generalmente rilasciati agli scienziati. Secondo Polon, il dipartimento per gli affari oceanici dell’ufficio del procuratore generale stava ancora elaborando una domanda del team dopo il loro ritorno negli Stati Uniti. Rob McCallum, un esperto esploratore oceanico e capo spedizione, ha affermato che il team aveva richiesto un permesso per la ricerca scientifica marina, ma questo non copre gli oggetti dallo spazio. Hanno anche provato a presentare un documento al gabinetto della Papua Nuova Guinea, ma sono stati reindirizzati alla PNG University of Technology. “Questo è un progetto unico. Aveva lo scopo di localizzare, recuperare e studiare materiale che è letteralmente caduto dal cielo”, ha detto McCallum. “Le attuali procedure di autorizzazione si concentrano sull’estrazione di materiale biologico o geologico esistente, e non è questo il caso.” Wilson Thompson del PNG National Research Institute ha dichiarato: “Potrebbe non avere un valore economico, ma ha un valore culturale e intellettuale”. Un alto funzionario del dipartimento dell’immigrazione parlando al Sunday Times ha suggerito che la squadra potrebbe aver potenzialmente violato la legge rimuovendo “oggetti rari”.

Per conto suo Loeb, al di là delle dispute legali ha continuato a concentrarsi sulle sferule: “Questa composizione è anomala rispetto alle leghe prodotte dall’uomo, agli asteroidi conosciuti e alle fonti astrofisiche familiari” ha dichiarato al “DailyMail”. Loeb e Siraj sostengono che i loro risultati supportano la probabilità che IM1 fosse di “origine artificiale” e si sono rifiutati di escludere che facesse parte di un “veicolo spaziale interstellare” realizzato da alieni. IM1 ha resistito quattro volte la pressione che normalmente distruggerebbe una normale meteora ferro-metallo, mentre sfrecciava attraverso l’atmosfera terrestre a 100.215 miglia all’ora. Una batteria di test sui frammenti di IM1 recuperati, condotti a Berkeley, ha dimostrato che la loro composizione chimica è quasi interamente di ferro: un possibile punto a favore delle teorie più controverse del team di Harvard sull’oggetto. Il professor Loeb ha dichiarato: “Più del 95 percento di tutti i meteoriti contiene ferro-nichel. Di solito i meteoriti hanno concentrazioni di nichel molto superiori a quelle di quasi tutte le rocce terrestri”. In contrasto con questi meteoriti ferro-nichel standard, i frammenti IM1 contenevano solo quantità “trascurabili” di nichel, insieme ad altri “elementi in traccia”, secondo una dichiarazione fornita a DailyMail.com.

Per elementi in traccia, in questo tipo di analisi scientifica, si intende qualsiasi composto chimico o elemento atomico presente solo in quantità incredibilmente piccole, inferiori a 100 parti per milione. I campioni IM1 sono stati testati tramite spettrometria di massa al plasma accoppiato induttivamente (ICP-MS) per determinare meglio se il suo rapporto di isotopi di ferro corrispondesse o meno a quello che si trova tipicamente nel nostro sistema solare o se gli isotopi stessi fossero “anomali”. I test di Berkeley hanno incluso anche un’analisi dei dettagli della forma microscopica, o “morfologia”, delle sfere utilizzando un microscopio elettronico a scansione; così come un’indagine più approfondita sulla composizione chimica tramite spettroscopia a raggi X a dispersione di energia.

Anche se resta ancora molto lavoro da fare con i dati raccolti da tutte queste apparecchiature, il team di Loeb riferisce che i risultati, finora, tendono a confermare “l’origine interstellare di IM1″. Sebbene il comportamento e i frammenti di IM1 non assomiglino alla stragrande maggioranza delle meteore e degli asteroidi conosciuti, vi è – almeno – una spiegazione “naturale” della faccenda. Si è teorizzato che le supernove, stelle che esplodono alla fine della loro esistenza, lancino nel cosmo “proiettili” ricchi di ferro. IM1 potrebbe essere stato uno di questi proiettili. “La domanda fondamentale è se la meteora fosse di origine naturale o tecnologica”, ha affermato il professor Loeb. “Speriamo di rispondere a questa domanda con un’ulteriore analisi della sua composizione isotopica e della datazione radioattiva”. IM1 non è l’unico oggetto scoperto da Siraj e dal professor Loeb che mostrava una potenziale traiettoria interstellare. IM2, secondo Loeb, era molto più grande di IM1, con una massa otto volte superiore, e stava viaggiando molto più lentamente attraverso l’atmosfera terrestre quando è precipitato nell’Oceano Atlantico al largo della costa del Portogallo. Loeb e il suo team sperano di estrarre campioni da questo secondo oggetto interstellare “entro i prossimi due anni”.

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