Se io fossi nei panni del Generale Figliuolo, risponderei picche all’invito di Giorgia Meloni, rimandando al mittente la nomina a Commissario per la ricostruzione post alluvione in Emilia Romagna. Va bene essere fedeli, affidabili ed efficienti “servitori dello stato”. Va bene avere la fama, meritatissima, di jolly di tutti gli ultimi governi, da Draghi a Meloni, carta da mettere sul tavolo nei momenti di massima emergenza, dal Covid alla catastrofe emiliano-romagnola. Il fatto è che Figliuolo ha altri compiti e non può essere distratto. Ha un ruolo militare e strategico delicato, l’Italia non può mettere a rischio la propria sicurezza nazionale mentre è in corso una feroce guerra in Europa, nella contrapposizione epocale tra Nato e Federazione Russa.

Intendiamoci, era ovvio che il governatore piddino dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini non avesse alcuna chance di essere nominato Commissario dal governo. E forse è anche giusto, ci voleva un “tecnico” esterno: la lotta con l’opposizione (si fa per dire) va fatta anche e soprattutto tramite le nomine e il potere effettivo di gestire soldi. Fabio Panetta come governatore di Banca d’Italia dal 1° novembre al posto di Ignazio Visco, per fare un raffronto, è stato invece un gioco da ragazzi per Meloni, procedura liscia e senza intoppi. La candidatura del banchiere centrale era scontata: dalla Bce Panetta era così sicuro che s’era permesso di dire no alla nomina a Ministro dell’Economia quando il governo Meloni nacque nell’ottobre 2022.

Ecco: Francesco Paolo Figliuolo avrebbe dovuto fare come Panetta: un bel “no grazie”. Seriamente. Avrebbe dovuto dire alla premier: “Il mio nome non può essere evocato ogni volta che ce n’è bisogno, solo per il fatto che sono bravo, apolitico, super partes, senza scontentare nessuno. Possibile che non abbiate nessun’altra persona, uomo o donna, con le fondamentali qualità di non essere corrotto o corruttibile, in grado di gestire la ricostruzione (l’emergenza è bella che finita) in Emilia Romagna?”. Non è andata così.

Per non equivocare, Figliuolo ha un curriculum, carattere e stile manageriale adattissimi all’incarico affidatogli. Ma non è questo il punto. Nella sua lunga carriera militare ha ricoperto ruoli apicali (per prestigio e importanza strategica) in Italia e all’estero; il punto è che l’incarico di Commissario per l’Emilia Romagna non può e non deve essere cumulato con una delle massime cariche militari e strategiche in Italia, quella che Figliuolo ha come Comandante del COVI, il Comando operativo di vertice interforze. Il COVI è troppo importante in questa fase strategica, con l’Italia di fatto paese cobelligerante poiché, in difesa di Kiev dall’assalto russo, con gli altri paesi Ue e Nato forniamo armi e mezzi agli ucraini.

Tutti i giorni Figliuolo si reca in un quartiere a est di Roma, percorrendo la via Casilina ai margini del parco archeologico di Centocelle, dove sono le palazzine di sette piani con gli uffici del nuovo organismo (nato nel luglio 2021, con Mario Draghi premier) composto da personale militare delle quattro forze armate italiane, alle dirette dipendenze del Capo di Stato Maggiore della Difesa, l’Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone. Lì, nella zona dell’ex aeroporto militare Francesco Baracca (fu il primo campo di volo dell’aviazione italiana: nel lontano 1909 vi decollò il Flyer di Wilbur Wright) il Generale degli alpini esplica le funzioni di comando e controllo (e anche di continuità del governo, per chi sa cosa ciò significhi) a pochi chilometri dai palazzi romani del potere politico. Il COVI, al comando di Figliuolo, esercita la pianificazione, il coordinamento e la direzione delle operazioni militari in Italia e all’estero in ambito Nato, nei cinque domini (terra, mare, cielo, spazio e cyber). “Il COVI rappresenta il cuore pulsante della Difesa – disse Figliuolo il giorno dell’insediamento il 19 gennaio 2022 – un cuore che batte grazie all’energia e alla sinergia di tutte le Forze Armate. La nostra forza risiede nell’impegno e nel sacrificio delle migliaia di uomini e donne con le stellette che sono quotidianamente in campo, nell’ampio spettro di operazioni che la nostra Difesa esprime a tutela del Paese”.

Ebbene, in questo quadro, che senso ha che il bravo generale aggiunga al suo ingrato e difficile compito strategico-militare anche la gestione dell’emergenza in Emilia Romagna, mentre è in corso la più sanguinosa e pericolosa guerra globale degli ultimi 75 anni, con Roma pedina essenziale nella strategia Nato e con 40 bombe atomiche americane alloggiate nelle basi aeree di Ghedi e Aviano, e il rischio (seppur remoto) che il nostro paese possa essere considerato un target di Putin (o chi verrà dopo di lui, che sarà anche peggio) in termini di possibile rappresaglia militare, dovesse il conflitto Russia-Nato prendere una piega inaspettata e drammatica?

Generale Figliuolo, per favore, dica no a Giorgia Meloni.

I nuovi Re di Roma

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