Allora questo cambiamento climatico c’è o no? Ed è colpa dell’uomo? Non sono in grado di rispondere a queste domande che presentano fazioni contrapposte nell’opinione pubblica e pareri contrastanti fra gli scienziati. Mi pare però che sul fatto che siano in atto un riscaldamento globale e un cambiamento del clima predominino nettamente le opinioni assertive delle persone competenti.

Più controverso è chiarire la motivazione di questo cambiamento, che per alcuni scienziati è legato a fluttuazioni già avvenute ripetutamente nel corso dei secoli, mentre per altri è un frutto avvelenato dell’eccesivo intervento predatorio dell’uomo sulla natura.

Vorrei fare alcune valutazioni da medico e psicologo che spero non aumentino la confusione e l’incertezza, ma forniscano uno spunto utile di riflessione.

Come medico mi viene in mente il meccanismo della febbre che l’organismo dell’uomo e degli animali utilizza per far fronte a una infezione. Quando batteri o virus invece di convivere col nostro corpo tendono a moltiplicarsi a dismisura (ad esempio colonizzano una tonsilla creando colonie), la febbre serve a distruggere parte di questi batteri o virus che non resistono al rialzo della temperatura. Intervengono anche altri meccanismi difensivi, che per brevità non elenco, ma la febbre è quasi sempre presente. E’ suggestivo pensare che di fronte alla colonizzazione eccessiva della terra attuata da otto miliardi di esseri umani si determini un meccanismo analogo sul pianeta.

Come psicologo ritengo che siamo di fronte a due alternative. La prima di queste è pensare che sia colpa nostra, della nostra dabbenaggine, della fame di denaro che attraversa la nostra società e che porta a utilizzare tutte le risorse infischiandosene di quello che succederà in futuro. I ragazzi di “Ultima Generazione” evocano appunto lo spauracchio di essere coloro che non potranno lasciare un pianeta vivibile ai loro figli. Questa tesi ha un risvolto psicologico negativo in quanto suscita senso di colpa. Ci sentiamo colpevoli e soffriamo all’idea di star distruggendo il futuro dei nostri figli. Sull’altro versante però questa tesi, accanto al senso di colpa cosciente, libera un’idea onnipotente più o meno inconscia che ci aiuta a essere positivi. Pensare che è colpa nostra porta a ritenere che volendo si può invertire la rotta, che lottando contro i potenti o i ricchi del pianeta potremo sovvertire la sorte avversa con una sorta di riscatto che parta dal basso della società.

La seconda alternativa è ritenere che non è colpa dell’uomo e che il surriscaldamento sia determinato da cause avulse dal nostro operato. Da un lato quest’idea ci fa sentire meglio perché ci libera dalla colpa, ma dall’altro ci potrebbe, più o meno inconsciamente, far piombare nella disperazione. Se non abbiamo le redini della situazione ma siamo in balia di eventi più grandi di noi dobbiamo attendere, come sulla tolda del Titanic, il naufragio e la morte ineluttabile.

Tra le due possibilità che ho cercato succintamente di spiegare, la prima si caratterizza per l’idea di poter agire e intervenire, pur portando con sé un grande senso di colpa. Risulta certamente più congeniale al modo di pensare della razza umana, che rifugge la disperazione e il senso di impotenza. Quindi, indipendentemente da quale sia la causa, evoluzione della terra o intervento umano, prevarrà certamente quest’ultima tesi perché sintonica col nostro modo di pensare e meno impattante a livello inconscio. Gli scienziati che esprimono dei dubbi o non vi credono totalmente si rassegnino. Verranno bollati come negazionisti e causa di tutti i mali.

La terza riflessione concerne la litigiosità che emerge quando si parla di questi argomenti. Come i classici galli di Renzo Tramaglino, nel romanzo I promessi sposi, pur andando tutti verso un terribile destino comune (i galli a fare da piatto forte del pranzo), ci becchiamo e lottiamo fra noi. Le fazioni riguardo al cambiamento climatico, l’una contro l’altra armata, abbondano con invettive e accuse reciproche. Anche questo atteggiamento è un classico della psicologia: quando ci si sente angosciati, incolpare qualcuno tramuta una parte dell’ansia in rabbia che notoriamente è più gestibile. Se sono ansioso sto male e basta, non posso sfuggire al mio malessere. Se invece sono arrabbiato posso rompere qualcosa, spaccare la testa al mio avversario del momento, incolparlo di tutte le nefandezze e sperare che, eliminato lui, tutto si risolva nel migliore dei modi.

Facile quindi prevedere che, lungi dal trovare un comune sentire verso un miglioramento delle emissioni nocive al clima per tentare un miglioramento del futuro, si determineranno conflitti fra gruppi sempre più importanti e diffusi. Le avvisaglie ci sono tutte, con blitz di gruppi organizzati. Corriamo il rischio nell’arco dei prossimi anni che la conflittualità sfoci anche in tensioni o guerre fra nazioni che applicano in modo differente le regole sulle emissioni dannose al clima.

Tornando alle domande iniziali, come emerge da questo scritto, non sono assolutamente in grado di offrire delle risposte. Offro alla discussione e riflessione del lettore alcuni spunti medici e psicologici che forse aiutano a comprendere i comportamenti di contrapposizione sul clima e le tensioni sempre più palesi fra gruppi che si odiano.

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