Cultura

Realismo, crudezza e uno “sconquasso di sintassi”: la “Guerra” di Céline così lontana da autocensura e buone maniere

L’inedito celiniano tratta il tema come una rognosa, squinternata eventualità da sfangare, come un ostacolo da superare, come una sbornia fastidiosa di sangue budella cannoni e pallottole che riecheggia sempre come rumore di fondo

di Davide Turrini

Intanto Guerra di Ferdinand Céline (Adelphi), assolutamente l’inedito dell’anno, non è un pamphlet antimilitaresco o antiguerresco come in giro si è letto pedantemente anche sui tombini. Non perché dalla lettura del romanzo ricomposto in base a 250 fogli manoscritti e numerati ma piuttosto illeggibili dello scrittore francese, morto nel 1961 a 67 anni, debba risultare spiritualmente il suo contrario. È solo che se si analizza Guerra partendo da qui si prende la strada volontariamente sbagliata.

L’inedito celiniano tratta il tema “guerra” come una rognosa, squinternata eventualità da sfangare, come un ostacolo da superare, come una sbornia fastidiosa di sangue budella cannoni e pallottole qui sì davvero molto bukowskiana che riecheggia sempre come rumore di fondo (“melassa piena di granate”) e nel rimbombo perenne dentro le orecchie del protagonista del romanzo (“mi sono beccato la guerra in testa”). Guerra inizia proprio nel brutto mezzo di un campo di battaglia della prima guerra mondiale in territorio belga con l’io narrante Ferdinand (alter ego celiniano, nonché qui caporale dell’esercito francese) che descrive le proprie devastate condizioni fisiche dopo una serie di esplosioni che hanno annientato la sua compagnia di fanti. La dimensione descrittiva delle ferite – l’orecchio appiccicato a terra immerso nel sangue, il braccio fratturato e la gamba insensibile – è di macabro realismo e ironica crudezza. Non c’è compassione per sé e per nessuno, ma quasi un sorriso beffardo che trova nella ricercata esasperazione terminologica la sua naturale prosecuzione formale.

L’osservazione di Ferdinand verso il “budellame” sparso attorno è un quadro picassiano sfumato da delizie boschiane. Poche pagine e Ferdinand si ritrova ferito, creduto moribondo, se non proprio defunto, tra letti e barelle di un ospedale a Peurdu-sur-la-lys e li rimarrà vivendo varie vicissitudini fino in fondo al racconto. Se infatti qualcuno ci chiedesse una sinossi brevissima di Guerra diremmo: la convalescenza del soldato Ferdinand in un mondo popolato da battone, erezioni perenni, masturbazioni febbrili, un’infermiera necrofila e commilitoni farabutti. Insomma, un romanzo vietatissimo ai minori che oltre ad uno “sconquasso di sintassi”, come scrive il traduttore Ottavio Fatica nella postfazione, pulsa di una lingua libera da ogni pudore letterario e morale. In fondo Guerra, se ce ne fosse ancora bisogno dopo Viaggio al termine della notte e Morte a credito conferma l’approccio libertario, sporco, eterogeneo all’arte del narrare di Celine scrittore. Un attacco dinamitardo alle buone maniere, alla ricerca “del messaggio positivo”, al rimanere dentro le righe dei circoli letterari anche tra i più culturalmente insurrezionali. Celine non guarda in faccia a nessuno, e da nessuno si vuol far guardare per essere giudicato.

La sua scrittura, soprattutto in Guerra, è un vortice rutilante schizoide ipnotico di porcherie sul proprio cazzo, le sue pulsioni più feroci e profonde, sulle ignominie altrui in merito alla sessualità. “Mi sarei pappato il suo mestruo”. “Non mi passava la mano sotto i coglioni e sì che me l’aspettavo”. “Toh assaggia la tua sborra (…) ne aveva tirata fuori una manata piena”. Una riflessività priva di autocensura che il protagonista Ferdinand offre con naturale lurida giovialità (in certi momenti ricorda il linguaggio usato in certi fumetti porno erotici neri anni settanta/ottanta) in questo suo percorso emancipatorio per tornare in forze, ma soprattutto fuggire con goliardica dissennatezza il più lontano possibile da ipotetiche accuse di diserzione o ancor peggio di auto ferimento che porterebbe alla corte marziale. Infine, Guerra è l’ennesimo esempio di cosa significasse fare letteratura cento anni fa (ma poi questa tendenza è continuata almeno fino agli anni settanta del Novecento) in maniera individualisticamente anarchica senza porsi problemi di commerciabilità etica, di parole d’ordine accettate dal mercato buono e dai buoni che lo governano. Poi se vogliamo dirla tutta di fronte a Guerra impallidisce Bastogne di Brizzi (e manco c’era da scriverlo, ma Enricone nostro quanto si è letto Celine dio solo sa), ma in alcuni punti scricchiola perfino Il giovane Holden.

Realismo, crudezza e uno “sconquasso di sintassi”: la “Guerra” di Céline così lontana da autocensura e buone maniere
Precedente
Precedente
Successivo
Successivo

Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione