Nove anni fa a James Gunn riuscì un azzardo: arricchire e innovare il parco giochi visivo della Marvel con un ensemble di personaggi secondari, i cui precedenti su carta superavano a malapena il volume della pellicola stessa. I suoi Guardiani della Galassia erano un’armata Brancaleone spaziale la cui composizione, in termini sia estetici che narrativi, sfidava qualsiasi criterio di sospensione dell’incredulità. Le dinamiche di potere delle civiltà intergalattiche erano un martello e loro un’incudine malfunzionante, una variabile dispettosa in un ingranaggio opprimente. Il successo fu tale che in un certo senso condizionò il resto del franchise, almeno in termini formali.

Non a caso, quattro anni e una decina (!) di film dopo ‘Endgame’ – capitolo conclusivo della saga legata agli Avengers – l’epopea degli eroi Marvel sembra attraversare il suo momento di massimo affanno. Troppi ormai i titoli incentrati su personaggi secondari, costretti in confezioni standard di humor, azione e CGI, peraltro bilanciati in maniera talmente prevedibile da impedire vere sorprese drammaturgiche; il risultato inevitabile è una riduzione del coefficiente di sincerità e di coinvolgimento da parte del pubblico. Non stupisce perciò che sia proprio l’atto conclusivo della trilogia dei Guardiani a riportare l’universo cinematografico Marvel agli standard qualitativi del passato, peraltro con uno dei film più cupi mai prodotti da quelle parti, incentrato sull’elaborazione dei traumi dei suoi protagonisti. Nel Volume 3 la solita, disfunzionale e rumorosa masnada di emarginati dal buon cuore si ritrova maturata a colpi a lutti e defezioni, tanto da trovarsi costretta a percorrere a ritroso la propria ombra, fino a mettere in discussione l’esistenza del gruppo stesso.

Il loro avversario stavolta è l’Alto Evoluzionario, un tecnocrate ansioso di creare la società perfetta per un mondo perfetto. Prototipo di anti-divinità che sacrifica l’amore sull’altare della perfezione, è ossessionato dai propri ripetuti fallimenti. I suoi obiettivi sono talmente fuori scala, e le sue motivazioni talmente fallaci, da causare solo abomini e dolore nelle interazioni con ogni forma di vita, umana e animale, che finisce sul suo cammino. Come il procione Rocket – vero protagonista di questo capitolo, fortemente gravato dal senso di colpa del sopravvissuto – avrà modo di ribadire, al villain “non interessa la perfezione, semplicemente odia le cose per quello che sono”. Satira più o meno indiretta a certi vertici della società umana, avvezzi a prendere le distanze – con un certo coefficiente di disgusto – da un mondo sull’orlo della distruzione, che hanno contribuito per primi a rendere contraddittorio e problematico.

Il risultato è un visionario e chiassoso elogio dell’imperfezione, un canto del cigno efficace, sia in termini visivi che di sentimento.

È incredibile come James Gunn, col suo ormai caratteristico pastiche, riesca a rendere emotivamente rilevanti la vicenda di grossi pupazzi colorati nello spazio, il cui rapporto col dolore, con le aspettative deluse sulla propria esistenza, è scritto in maniera perfettamente coerente rispetto a un pubblico che va al cinema con l’esigenza di specchiarsi in una super fantasia colorata, esagerata nella veste eppure onesta nella semplicità del suo linguaggio. Mi perdonerà chi trova eccessivo l’accostamento ma, nel mondo cartoonesco del regista, Rabelais riuscirebbe a invitare Sofocle e Plauto a casa sua, per una sessione intensa di videogiochi.

Le imperfezioni sono diverse e perlopiù legate alla generosa coralità di ritratti inverosimili: i personaggi sono tanti, e non tutti raggiungono la profondità desiderata, alcuni ci si chiede addirittura perché siano sullo schermo, altri costringono il film a dilatare i molteplici finali, la cui chiosa fin troppo ottimista e festosa sembra quasi un mandato degli studios, volto a mitigare il senso di trauma e di perdita che caratterizza il film per gran parte del suo sviluppo. Senso di trauma e perdita che, dati gli eventi storici che tutti abbiamo attraversato (e che stiamo ancora attraversando) non può non risuonare come genuino a chi si approccia al genere con favore. Ed è proprio in questa attitudine che ‘Guardiani della Galassia, Vol. 3’ fa centro.

Le intelligenze critiche più esigenti obietteranno che non sono questi i titoli e i linguaggi in grado di salvare l’industria cinematografica in crisi, e probabilmente è vero. Tuttavia, se il volume della proposta fosse ridotto, e se gli intenti fossero gli stessi che hanno trasposto i Guardiani sul grande schermo, forse verrebbe meno la percezione che i supereroi stiano togliendo spazio a qualcos’altro.

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