Philippe Denis (1947-2021) è stato uno dei poeti francesi della generazione del secondo dopoguerra (Guy Goffette, Thierry Metz, Christian Prigent…) che ancora oggi, a ridosso dei due “padri” Bonnefoy e Jaccottet, davvero contano; una voce inconfondibile, vicina sia a quella di Jacques Dupin (di cui fu amico), sia a quella più realistica di André Frénaud. Traduttore e saggista, non ebbe in vita il riconoscimento che sicuramente meritava, forse perché troppo schivo e – come ebbe a scrivere Yves Bonnefoy – del tutto “estraneo alla preoccupazione di sé” e al narcisismo imperante fra gli scrittori contemporanei. E non parliamo poi di cosa è successo con l’avvento dei social…

Capita abbastanza spesso di non trovare Denis nei vari elenchi o nelle antologie del secolo XX. La sua scelta di vita, tra Stati Uniti e Portogallo, sempre lontano da Parigi, spiega anche in parte tale (relativo) insuccesso, dopo un debutto brillante per i tipi del Mercure de France (Cahier d’ombres, 1974). Con un bel numero speciale de L’étrangère nel 2017, con suoi inediti, da segnalare due plaquettes edite da La ligne d’ombre in Portogallo, un’antologia Chemins faisant approntata per Le bruit du temps nel 2019 (dalla quale sono presi e tradotti i due brani che seguono), Cent dix poèmes d’Emily Dickinson (La Dogana 2020) e il saggio del sottoscritto Territoires de Philippe Denis (La ligne d’ombre 2021). È in preparazione un fascicolo di Littérature interamente dedicato alla sua opera in prosa e in versi. [JcV]

***

MUSHROOMS

il 5 settembre

Il fungo è, eminentemente, musicale.

In agosto e settembre, il nostro canestro in vimini tappezzato di verdi felci è un golfo mistico disertato dove giacciono sparpagliate trombe e cornette.

Qui, nelle nostre campagne, predilige gli pseudonimi, e l’opera è rigogliosa. Non un giorno senza una nuova tiratura!

Ma, come i romanzi, può rivelarsi “indigesto”.

Il più raro viene pesato, soppesato da mani callose, dopo che un grugno o un muso ha sovrinteso alla di esso esumazione.

il 10

Una poesia di Sylvia Plath, che ho provato a tradurre parecchi anni fa: Mushrooms, mi torna a mente. In quel testo, essi hanno le fattezze di implacabili invasori.

il 12

Vivo e vegeto… per forre e viottoli incassati, ma non sono dove li aspettavamo. Criptofili, eludono le nostre speranze e il nostro sapere in materia. Il nostro fiuto di iniziati ci fa assomigliare a quei cani giovani, sempre pronti allo scatto, per scovare, in fin dei conti, solo farfalle.

………………………

Stamattina, nel prato, eccoli là. Girotondo di adolescenti sulle alte gambe gracili, nell’erba scura e fitta.

il 15

Per l’ennesima volta, apro la guida dei Lange. Un vecchio contadino astuto mi consiglia di aspettare la luna nuova. Si avvierà dopo pochi istanti in direzione del bosco.

il 16

Non si esce oggi: tempo da lupi. Perché non “tornare” sulla traduzione della poesia di Plath? Baratto la mia guida con il Webster.

Tutta la notte, oh quanto
Bianchi, discreti,
Oh quanto silenziosi

I nostri alluci, i nostri nasi
Spuntano dall’humus,
Prendono una boccata d’aria.

Nessuno ci vede,
Né ci ferma, ci tradisce;
I fuscelli si discostano.

Stanco di consultare il Webster, meccanicamente apro la mia guida alla pagina dei prataioli. Le ultime gocce scintillanti dell’acquazzone non ne sono le spore?

Chemins faisant, Le bruit du temps, 2019

***

RABIOT

Cercare un inizio ai nostri cominciamenti, le nostre fini sono deperibili.

Le parole di cui sono senza notizia, le scarto.

Alternativa: si va a pesca o si chiacchiera.

*

N u v o l a — parola senza imbarazzo.

Non lascerò a nessuno il compito di sognare al mio posto.

Il fair-play di un’ombra che passa.

*

“Con niente, per niente.” Motto posticcio.

Scrivere: sgrassare il culto che si ripaga coi nostri morti.

È tutto avanzo. Il piatto non è insensibile.

Ibidem

tambouille

Nei nostri mnesici intingoli —
il tempo si ravvede,
la morte s’arruffiana col primo che capita.

Belle e indifferenti
le parole
si travestono.

L’imperfezione di ciò che si può
maschera

la perfezione dei nostri fallimenti.

pierres d’attente, La ligne d’ombre, 2018

[il primo titolo è di S. Plath (in The Colossus), “Funghi”; i due successivi originali: Rabiot vale “Supplemento (di rancio)” e tambouille più o meno “sbobba”]

Articolo Precedente

Amazon Storyteller, il premio letterario per autori indie giunge alla sua quarta edizione

next
Articolo Successivo

Un altro premio per “E pensare che c’era Giorgio Gaber”: il libro di Andrea Scanzi vince il “Cristina Campo” nella sezione saggistica

next