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Al caso Giletti non so dare nessuna lettura politica. Se si trattasse solo di brutta tv?

Al caso Giletti non so dare nessuna lettura politica. Se si trattasse solo di brutta tv?
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Se c’è una cosa – lo confesso – che mi sorprende e un po’ mi spiazza di tutto l’affaire Giletti è l’impossibilità di farne una convincente lettura politica (l’impossibilità è mia, se qualcuno la sa fare qui sotto c’è tutto lo spazio). Dunque: quando Giletti fu allontanato dalla Rai amici ben informati mi spiegarono che il problema era politico, anzi elettorale. La sua Arena, ben collocata nel cuore del pomeriggio domenicale e con il conseguente pubblico popolare, con quei toni tribunizi, quelle denunce di privilegi e ingiustizie, faceva il gioco dei Cinquestelle. A ogni puntata, a ogni denuncia, a ogni scopertura di altarino vero o presunto – si diceva – corrisponde con esattezza un calo di voti dei partiti di governo e un aumento dei grillini. Per cui non si può andar avanti così.

Erano i tempi del dilagamento del populismo (qualunque cosa si intenda con il termine) e nessuno sapeva o voleva capire quello che un acuto studioso ha spiegato con chiarezza: cioè che il populismo non è la malattia ma il suo sintomo, non è la causa del male ma la conseguenza e se lo si vuole combattere bisogna riconoscere il vero male e affrontarlo. Così Giletti, con la sua brutta – sia chiaro – televisione, se ne andò altrove trovando spazio su La7, dove non dovette neppure cercare un nuovo titolo alla sua brutta televisione. Che divenne ancora più brutta, anche perché si allungò e allargò, cementò attorno a sé un ascolto non vasto come quello di Rai 1 ma più compatto, meno occasionale e più fidelizzato, più disposto a rispecchiarsi nel programma, si insinuò all’interno di temi più delicati con l’aperta ambizione non solo di rivelare i nodi ambigui su cui creare delle opinioni, ma di intervenire direttamente a scioglierli. Un’ambizione davvero pericolosa, un po’ luciferina, per un prodotto di informazione.

Allora può essere questa la causa del patatrac? Non c’è nessuna dietrologia? Non sono io che non la vedo, ma proprio non c’è una lettura politica del pasticciaccio? Semplicemente, il nostro eroe ha spinto un po’ troppo su una strada sdrucciolevole e difficile come quella dell’informazione ed è finito fuori strada con la sua brutta televisione? Oppure, a pensar male, fare peccato e quello che ne segue, questa è una visione un po’ troppo ingenua e magari l’eroe ha spinto troppo volontariamente per finire fuori strada e trovare una nuova collocazione a cui approdare con la fama dell’eroe perseguitato?

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