Anziché accodarmi alle celebrazioni e ai rimpianti che in giornata hanno circondato la notizia della morte di Gianni Minà, vorrei cominciare il mio ricordo in maniera scherzosa (lui si divertirebbe). Allora diciamo la verità: quante volte abbiamo scherzato sulla sua abitudine a raccontare i suoi incontri (intendiamoci, assolutamente veri, non certo millantati) con le più grandi figure del mondo dello sport e dello spettacolo? A chi non è successo di fare con gli amici la sua imitazione: “eravamo io, Mohamed Alì, Fidel Castro, Maradona e Sharon Stone…”?

C’era qualcuno che nel suo provincialismo non si limitava a fare una bonaria parodia ma davvero insinuava che questa fama di Minà intimo con i più affascinanti personaggi fosse, se non usurpata, un tantino esagerata. Poi un giorno arrivò nelle sale il film di Oliver Stone Natural Born Killers dove a un certo punto si parla con ammirazione di un giornalista italiano che ha intervistato per 16 ore Fidel Castro. E allora anche i provinciali sospettosi e un po’ invidiosi dovettero tacere.

Se dovessi dire, come si fa in questi casi, quali sono stati i motivi della grandezza giornalistica di Minà, direi che il primo è proprio questo. La sua dimensione internazionale, non quella fasulla di molti che si sentono cosmopoliti per aver fatto un viaggio in Inghilterra o in California, ma l’assiduità e la profondità del rapporto con l’America e in particolare con l’America latina, anche quando quel mondo e quella cultura non erano più di moda nei circoli che contano.

Poi c’è un secondo motivo che riguarda la storia del giornalismo sportivo. Minà nacque come cronista sportivo in occasione delle Olimpiadi di Roma del 1960, poi si formò alla scuola di Barendson con quel gruppetto di giornalisti che negli anni Sessanta si occupavano di sport allargando i confini dell’argomento, che fino ad allora erano stati definiti e ristretti. Lo sport si univa nei loro lavori con la politica, la letteratura, il cinema, la musica.

Una lezione più che mai importante proprio in queste stagioni in cui invece sembra prevalere l’analisi tecnica degli avvenimenti e il giornalismo sportivo è spesso un luogo di occasioni mancate.

La Repubblica tradita

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