È emergenza per gli enti locali e lo certifica anche la Ragioneria generale dello Stato. I dati parlano chiaro: tra il 2010 e il 2020 il numero di dipendenti comunali è sceso del 24%, pari a 112.000 lavoratori in meno. Il trend non si è invertito nel 2022: “Lo scorso anno sono stati assunti solo 2500 tecnici a tempo determinato rispetto ai 15.000 attesi”, notano i promotori della campagna Riprendiamoci il Comune, “un autentico flop delle misure messe in campo dai governi Conte II e Draghi per invertire la rotta”. Più che in una emergenza estemporanea, commenta a ilfattoquotidiano.it il promotore Marco Bersani, “i comuni sono in una crisi strutturale, dettata da 30 anni di politiche liberiste e di austerità”. A questo mosaico si aggiunge oggi anche un altro tassello: i rischi per la messa a terra del Piano nazionale di ripresa e resilienza, causati proprio dalle carenze amministrative degli enti locali.

Il quadro – Il depauperamento della pubblica amministrazione italiana non passa solo per i tagli al personale. “Il blocco delle assunzioni ha anche provocato un progressivo invecchiamento dei lavoratori dei comuni: oggi l’età media è 53 anni”, ragiona Bersani spiegando le ragioni della campagna promossa da organizzazioni e movimenti sociali come Arci, Acli, Cittadinanzattiva e Altreconomia. “La conseguenza è un tessuto degli enti locali meno ricettivo ai cambiamenti, con oltre il 65% dei dipendenti con più di 50 anni. C’è quindi una intera generazione che non è mai entrata nel lavoro pubblico”, sottolinea il promotore della campagna. Quando gli attuali dipendenti degli enti locali saranno in pensione, di questo passo, “le pubbliche amministrazioni saranno ridotte all’osso”, spiega. Del resto i bilanci dei comuni sono tutt’altro che floridi: “Uno su cinque si trova in profonde difficoltà finanziarie e il dato sale in alcune regioni: 6 comuni su 10 in Calabria, 4 su 10 nel Lazio”.
Per supplire a queste carenze gli enti locali sono stati costretti a sostituire la cultura degli investimenti con quella del risparmio e hanno dovuto fare maggiore ricorso alla esternalizzazione dei servizi. “Questo negli anni ha portato a una maggiore privatizzazione”, spiega al Fatto.it Corrado Conti, promotore della campagna e già dirigente al bilancio della Provincia di Lecco. “Non potendo assumere né mantenere la spesa corrente” – prosegue – “gli amministratori hanno dovuto fare ricorso ad appalti esterni”. In questo contesto il cambiamento e l’aumento di produttività richiesto ai comuni per realizzare i progetti previsti dal Pnrr per Bersani è utopia: “Semplicemente gli enti locali così non sono in grado di inserirsi nei processi di innovazione digitale e transizione ecologica che sarebbero necessari per il piano europeo”.

Le proposte – La campagna Riprendiamoci il Comune propone due leggi di iniziativa popolare per riformare la finanza locale e Cassa depositi e prestiti. “Pur mantenendo l’equilibrio finanziario” – spiega Bersani – “proponiamo che i comuni abbiano non solo l’obiettivo di ridurre i costi, ma che tengano conto del pareggio di bilancio ecologico, sociale e di genere”. Secondo i promotori della campagna, si tratta di un modo per svecchiare la pubblica amministrazione e renderla ricettiva alle nuove sfide richieste anche dall’Europa. Per mobilitare più risorse economiche, propone Bersani, “Cassa depositi e prestiti dovrebbe utilizzare i propri fondi per finanziare gli investimenti degli enti locali a tassi agevolati”. In questo modo, aggiunge Conti, sarebbe possibile internalizzare i servizi che sono stati appaltati all’esterno e investire sulla qualità del personale, mentre ora “il costo dei lavoratori è ormai considerato qualcosa di negativo”.
Su Cassa depositi e prestiti una strada simile era già stata tentata dal governo Conte I. Nel marzo 2020 l’esecutivo giallo-verde aveva approvato una legge per cui, ricorda Bersani, “lo Stato si sarebbe fatto carico di tutti i mutui degli enti locali per poi trattare con Cassa depositi e prestiti o con le banche”. Il decreto attuativo non è però mai stato adottato e la legge quindi è rimasta inapplicata. L’obiettivo della norma era fare perno sul potere negoziale dello Stato per “mettere in piedi una trattativa unica finalizzata a una drastica riduzione degli interessi che le pubbliche amministrazioni devono pagare sul debito”. Così sarebbero state liberate risorse per gli enti locali da destinare agli investimenti.

Democrazia di prossimità – Anche se per ridurre il debito pubblico spesso sono stati colpiti i comuni, gli enti locali “stando ai dati della Banca d’Italia concorrono al debito pubblico nazionale solo per l’1,5% del totale”, evidenzia Bersani. Oltre al danno economico e al pantano in cui sono bloccati diverse amministrazioni, per i promotori di Riprendiamoci il Comune negli ultimi dieci anni si è sviluppata una cultura in cui “molti sindaci si vantano di essere bravi se investono poco, per non indebitarsi ancora di più”. In questo modo, però, denuncia Bersani “a farne le spese sarà la democrazia di prossimità: gli enti locali hanno perso la loro funzione pubblica e sociale”. Ecco che la crisi della pubblica amministrazione va oltre la necessità di una riforma finanziaria dei comuni e supera la contigenza di una corretta attuazione del Pnrr. Conclude il promotore della campagna: “Si tratta di decidere cosa devono essere i comuni del futuro: presidi di democrazia o una realtà in declino?”.

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