Dietro i ritardi nella messa a terra degli investimenti del Pnrr non c’è solo la generale debolezza di una pubblica amministrazione svuotata da un decennio di blocco del turnover e non rafforzata a sufficienza per il compito. La vera emergenza sono le specifiche carenze degli enti locali del Sud, dove si concentrano i Comuni con meno dipendenti in rapporto alla popolazione, mediamente più vecchi e con un minore livello di istruzione. Le situazioni più preoccupanti? Napoli, Brindisi, Taranto, Reggio Calabria, Catania, Messina e Trapani, che dovranno gestire risorse importanti senza averne le competenze. È la fotografia che emerge da un rapporto dell’Università di Bari curato dal professor Gianfranco Viesti per Fondazione con il Sud. Che mette nel mirino il governo Draghi: “Sorprende molto e dispiace”, si legge, “che pur potendo agevolmente disporre dei dati presentati in questa analisi (sono della Ragioneria Generale dello Stato), non abbia ritenuto di tenerne conto per provvedere sin dalla redazione del Pnrr ad una determinata e incisiva azione di potenziamento, tramite nuovo personale o strutture di supporto esterne, delle amministrazioni con maggiori, obiettive, criticità. E che poi non abbia indirizzato le risorse tecniche di supporto messe successivamente in campo, in particolare in questi casi”. Ora la patata bollente è nelle mani della premier Giorgia Meloni e del ministro che gestisce la partita, Raffaele Fitto.

La spaccatura – La spaccatura tra nord e sud del Paese sul fronte della capacità di erogare servizi e realizzare investimenti pubblici si inserisce nel solco di quella evidenziata dall’Istat nel recente rapporto sui divari territoriali: il Pil del Mezzogiorno è il 55% di quello del Centro-nord, con denatalità, invecchiamento ed emigrazione che imperversano. L’ulteriore linea di faglia diventa evidente con la divisione in quattro quartili dei Comuni, realizzata dallo studio dell’Università di Bari che ha costruito un indice basato su rapporto tra dipendenti comunali e popolazione, variazione di personale amministrativo tra il 2019 e il 2008, titolo di studio e età dei dipendenti. Nello studio sono presi in considerazione i quelli con più di 60.000 abitanti: nel 2019 in tutto erano 103 (18 del nord- ovest, 21 del nord-est, 23 del centro, 27 del sud e 14 delle isole). Tra i 26 comuni del primo quartile, quelli con valori decisamente sotto la media nazionale e “certamente in grandissima difficoltà sia nella fornitura di servizi ai propri cittadini, sia nella realizzazione di infrastrutture”, 16 sono del sud – tra gli altri Catania, Napoli, Catanzaro, Foggia, Giugliano in Campania, Castellammare di Stabia e Torre del Greco – e 5 delle isole. L’unico capoluogo non meridionale presente è Latina. Specularmente, tra i 25 comuni più virtuosi – quelli del quarto quartile – si trovano 18 comuni del Nord e solo 1 del Mezzogiorno. Sul podio, in particolare, si trovano le pubbliche amministrazioni di comuni di Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto e Toscana: nell’elenco ci sono Bologna, Varese, Trento, Ravenna, Bolzano e Ferrara.

Da Napoli a Catania, i casi di “assoluta emergenza” – Se si considera che i sindaci sono chiamati a gestire oltre 40 miliardi di euro di risorse a valere sul Piano, è evidente quale sia l’inciampo all’orizzonte: non riuscire a mettere a terra i progetti entro il limite del 2026. Uno studio di Viesti sull’allocazione tra 77 capoluoghi di provincia di 20 miliardi di risorse relative a 11 misure del Pnrr dà “un’idea della dimensione dei problemi che possono crearsi”: ai 16 centri finiti nel gruppo degli “insufficienti” sono andati circa 3 miliardi. Un grafico che incrocia la spesa pro capite prevista e l’indice di criticità calcolato nel nuovo rapporto evidenzia le situazioni più critiche, quelle dei Comuni “con criticità per il personale ma anche con stanziamenti relativamente rilevanti rispetto alle loro dimensioni”. Si tratta di dieci città, tutte meridionali. I 7 comuni per i quali l’analisi fa emergere una “assoluta emergenza” sono Napoli, Brindisi e Taranto, Reggio Calabria, Catania, Messina e Trapani, con 2,5 miliardi di risorse allocate solo per quelle 11 misure. “Avere allocato risorse decisamente ingenti per investimenti ad amministrazioni con evidenti debolezze“, è il commento, “può produrre ritardi o mancate realizzazioni di opere” del Recovery, che come è noto vanno concluse nel 2026. Perché una pa in difficoltà incontra problemi sia nella fase di adesione ai bandi sia nella successiva attuazione dei progetti e nella fornitura dei servizi previsti dai fondi europei. Un esempio? Nel bando sugli asili nido la regione Sicilia ha avuto numerose difficoltà nella presentazione dei progetti. Per questo sono stati stanziati più fondi di quelli poi effettivamente assegnati per la costruzione delle nuove strutture. L’attuazione del Piano potrà al contrario produrre maggiori benefici dove importanti investimenti incontrano l’efficienza della pubblica amministrazione: è il caso del nordest, con ad esempio Trieste e Padova, e di Bologna.

“Indispensabili assunzioni o sostegni” – L’indice sintetico messo a punto da Viesti fa emergere i casi più problematici, ma, sottolinea lo studio, “visto il forte depauperamento complessivo del personale dei Comuni, esso certamente non garantisce che le Amministrazioni collocate in posizione relativamente migliore siano in grado di far fronte con efficacia ai compiti affidati loro, tanto in termini di fornitura di servizi quanto per la realizzazione di investimenti pubblici, anche connessi al PNRR”. Per realizzarlo, dunque, “appare indispensabile un’immediata e forte azione di sostegno, attraverso nuove assunzioni di personale o tramite sostegni tecnici esterni” verso i comuni in difficoltà, è la conclusione del rapporto. Anche se “non vi sono ancora dati sufficientemente solidi sull’avanzamento delle opere del Pnrr affidate ai Comuni”, le prime analisi dell’Ance e dell’Irpet-Toscana “motivano una certa preoccupazione, relativa all’intero paese”. In generale, l’analisi conferma diversi studi “che mostrano tempi di realizzazione delle opere pubbliche particolarmente elevati nelle amministrazioni comunali del Mezzogiorno”. Le lungaggini si evidenziano soprattutto, rimarca lo studio, “nelle fasi come progettazioni e appalti nelle quali la disponibilità di personale ad elevata professionalità è cruciale”.

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