La difesa della riforma del fisco, il no al salario minimo e la battaglia contro il reddito di cittadinanza. Giorgia Meloni si è presentata davanti alla platea della Cgil rivendicano la sua scelta di accettare l’invito nonostante il rischio di contestazioni. “Mi sento fischiata da quando ho 16 anni”, ha detto. “Potrei dire che sono Cavaliere al merito su questo”. Al suo arrivo, un piccolo gruppo di minoranza l’ha fischiata ed è uscito dalla sala con il pugno alzato e cantando “bella ciao”. All’esterno avevano protestato con striscioni e lanciando peluche. “Grazie anche a chi mi contesta”, ha detto. E ha citato uno dei cartelli con la frase usata da Chiara Ferragni durante il Festival di Sanremo: “Ho letto gli slogan efficaci: pensati sgradita. Efficace, anche se non sapevo che Ferragni fosse una metalmeccanica”. Ma le proteste non sono andate oltre e nessuno ha interrotto la premier durante il suo intervento. Anzi la presidente del Consiglio ha ottenuto un applauso della platea quando ha condannato “l’ignobile assalto dell’estrema destra” alla sede della Cgil a Roma: “Pensavamo che il tempo della contrapposizione ideologica feroce fosse dietro le nostre spalle ma in questi mesi mi pare siano sempre più frequenti i segnali di un ritorno alla violenza politica, e lo abbiamo visto con l’inaccettabile assalto da parte di esponenti dell’estrema destra alla sede della Cgil”.

Nel suo intervento, Meloni è partita dalla delega per la riforma fiscale approvata poche ore prima dall’esecutivo. “Per far crescere l’occupazione bisogna far ripartire l’economia, liberare le energie migliori dell’Italia”, ha esordito. “È la base della riforma fiscale che il Consiglio dei ministri ha approvato ieri con un legge delega, frettolosamente bocciata da alcuni”. Quindi ha difeso il provvedimento del suo governo: “Lavoriamo per consegnare agli italiani una riforma complessiva che riformi l’efficienza della struttura delle imposte, riduca il carico fiscale e contrasti l’evasione fiscale, che semplifichi gli adempimenti e crei un rapporto di fiducia fra Stato e contribuente. Vogliamo usare la leva fiscale come strumento di crescita economica, una riforma che guarda con molta attenzione al lavoro, con interventi sui redditi medio bassi e novità per i dipendenti“.

Iniziando l’intervento, Meloni ha detto di aver letto la relazione di Landini al quale ha fatto i complimenti “per la sua tempra” visto che “ha parlato due ore senza mai prendere neanche un bicchiere d’acqua”, “confesso che io non ne sarei mai stata capace”. E, rivolta ai delegati Cgil, ha rilanciato: “Dicono che la Cgil non sia una sindacato d’opposizione figuriamoci se lo fosse visto che in due ore di relazione non ho trovato nulla di quello che ha fatto il governo. Partiamo da un dato e cioè che l’Italia fa registrate un tasso di disoccupazione del 58,2%, un gap che continua ad aumentare. La situazione peggiora se si considera quella femminile che registra 14 punti in meno”, ha detto.

Uno dei temi toccato nell’intervento è stato quello dei salari, terreno di discussione di questi giorni. Soprattutto nel campo dell’opposizione. “I salari sono bloccati da 30 anni dato scioccante perché l’Italia ha salari più bassi di prima del ’90 quando non c’erano ancora i telefonini. In Germania e Francia sono saliti anche del 30%. Significa che le soluzioni individuate sinora non sono andate bene e che bisogna immaginare una strada nuova che è quella di puntare tutto sulla crescita economica”. A proposito di salari, Meloni ha ribadito il suo “no” al salario minimo, ma “sì all’estensione della contrattazione collettiva“, ha detto. Un tema sul quale si era espressa proprio durante il question time di due giorni fa, rispondendo alla neo segretaria dem Elly Schlein. La premier ha rivendicato che il suo governo ha voluto dare un segnale destinando “300 milioni di euro per un più significativo stipendio per i lavoratori della scuola“, senza contare l’intenzione di “innalzare le pensioni più basse e di tagliare di 2 punti percentuali il cuneo fiscale che il governo precedente aveva immaginato finisse quest’anno”. “Vogliamo retribuzioni adeguate, ma voglio ribadire che per raggiungere questo obiettivo il salario minimo legale non è la strada più efficace perché la fissazione per legge di questo non sarà una tutela aggiuntiva, rispetto a quella della contrattazione collettiva, ma potrebbe diventare sostitutiva, facendo un favore alle grandi concentrazioni economiche. La soluzione, a mio avviso, invece è stendere contratti collettivi a vari settori e intervenire per ridurre il carico fiscale sul lavoro”.

Il no, ormai noto, è stato anche per il reddito di cittadinanza, misura smantellata dall’esecutivo Meloni. Ecco che allora Meloni ha difeso la decisione di colpire l’intervento che sostiene chi è in difficoltà economica: “Ha fallito gli obiettivi per cui era nato perché a monte c’è un errore: mettere nello stesso calderone chi poteva lavorare e chi non poteva lavorare, mettendo insieme politiche sociali e politiche attive del lavoro”. Noi, ha detto Meloni, “vogliamo tutelare chi non è in grado di lavorare, chi ha perso il lavoro, gli invalidi ecc. ma per chi può lavorare la soluzione è creare posti di lavoro, inserire queste persone in corsi di formazione anche retribuiti”. Perché, ha scandito, la povertà non si abolisce per decreto. “Anche per M5s”, ha proseguito, “il reddito di cittadinanza non era un vitalizio, ma uno strumento transitorio. Dopo 3 anni la condizione di chi lo ha percepito non è migliorata. Vi domando: un ragazzo di 30 anni che ha percepito il reddito e che non ha migliorato la propria condizione, a 33 anni è meno povero?” E ancora: “Nella sua relazione Landini ci chiede ‘cosa vi hanno fatto i poveri?’. Non ci hanno fatto niente… È per questo che non vogliamo mantenerli in una condizione di povertà come ha fatto il reddito di cittadinanza. L’unico modo per uscire da quella condizione è il lavoro”.

Meloni ha poi parlato della crisi della natalità e delle promesse che ha fatto il governo in proposito: “Stiamo affrontando la glaciazione demografica, per affrontare questo problema, penso che la sfida sia quella di un piano economico e culturale, imponente, per rilanciare la centralità della famiglia”. L’obiettivo è partire “dal sostegno al lavoro femminile, agli incentivi a chi assume donne e neo mamme, con strumenti di conciliazione casa-lavoro e una tassazione che torni a tenere conto alla composizione del nucleo familiare”. E ha citato, in un passaggio veloce, anche il congedo parentale. Solo due giorni fa, durante il primo in confronto in Parlamento con la neo segretaria Pd, proprio Meloni aveva aperto alla proposta dem del congedo parentale paritario di tre mesi.

Infine la premier ha usato il palco soprattutto per rivendicare la sua volontà di dialogo con i sindacati. “Il confronto è utile e necessario” e “se questo è l’approccio, ci sono ottime ragioni per confrontarci con la forza delle idee che ciascuno legittimamente rivendica”, ha detto subito dopo aver citato Argentina Altobelli, politica e sindacalista che a inizio del secolo scorso contribuì alla fondazione della Federazione nazionale dei lavoratori della terra (Federterra), nata a Bologna per uniformare il movimento dei lavoratori agricoli.

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