Forse scrivo per le bambine deliberatamente avvelenate nelle scuole di Qom in Iran per fare in modo che non avessero più accesso all’istruzione. Forse per le donne che a tutt’oggi nelle sale parto del nostro paese subiscono traumi ostetrici a opera spesso di altrettante esponenti del genere femminile. Forse scrivo per le professioniste che, statistiche alla mano, sono state enormemente penalizzate dalla pandemia e dallo smart working e assai più dei loro colleghi maschi. Forse scrivo per un femminile che rischia di evaporare la specificità del suo archetipo nella liquidità dei termini e delle identità neutre, alla quale preferirei il trionfo della diversità a tutti i livelli e una democrazia che non fosse legge di maggioranza, ma dialogo vero – dia-logos – con le minoranze di tutti i generi, etnie e credenze.

Forse scrivo per mia figlia e i suoi compagni d’asilo e forse più persino per i maschi, anche adulti, che vedo nel mio studio, in così grande difficoltà nell’assolvere all’archetipo del maschile. E scrivo per le loro madri, alle quali spetta il difficilissimo compito non di educarli al rispetto tra i generi – compito condiviso alla pari con i padri – ma di essere un femminile credibile oggi, di incarnare davvero il potere del femminile che, forse proprio per la sua natura, così ben delineata da Lou Andreas Salomè come sfuggente a ogni regola e a ogni possibile modello è così arduo da manifestare.

Non solo, per parafrasare Simone De Beauvoir, “donne non si nasce, ma si diventa”, ma non c’è un solo modo di essere donna e l’essere donna non può essere insegnato, neppure da una madre a sua figlia, può solo essere costantemente costruito. Questo accade perché il femminile è un ossimoro che si struttura attorno al vuoto, alla notte, all’oscuro e al nascosto. È tutto danzato attorno a Dio, nella sua versione di indicibile, non nei nomi della sua Legge, ma nei nomi dell’impronunciabile.

E questo a cominciare dalla fisicità. La genitalità nascosta del femminile è un universo di scoperta che non si mostra alla vista, ma solo al sentire, una geografia di nervi che non ripetono in nessuna donna mai lo stesso tragitto e non possono che essere esplorati nell’incontro. Ma vale lo stesso per l’intelligere del femminile che ha una prossimità con l’istantaneo, insospettabile per l’attitudine maschile della mente: un’intelligenza sistemica che percorre i bordi delle cose, tra i limiti e i confini, che non può mai del tutto differenziarsi da un’origine totipotente che è cifra del suo accogliere e includere, più che del separare.

Oggi vedo donne inneggiare al femminile e fare di questo il vessillo discriminatorio di fazioni. E tristemente osservo quanto poco al femminile, pur nella loro convinzione, esse siano avvinte.
Quanto poco abbiano compreso e sentito lo statuto ontologico di tramite fatale tra l’io e il dio che il femminile deve incarnare, se vuol dirsi tale. Così oso una strada pericolosa, perché incarnare il femminile richiede una forma di coraggio il più delle volte segreto, oltre che coperto a lungo dalle incarnazioni maschili del mistero del femminile, che sono poi il nucleo pervicace della primordiale violenza sulla donna, quella perpetrata da un uomo che pretenda di sapere come una donna debba essere e come debba il suo femminile declinare, piuttosto che attingere al mistero del suo grembo e nel suo grembo.

Nel tempo di Quaresima, in cui cade la festa della Donna, oso il richiamo a Maria nella versione di quella autonomia che di certo sorprenderà le opinioni e le attese comuni e che, forse più che nella teologia, appare in tutto il suo potere nelle raffigurazioni dell’arte. Maria che è donna reale, vera, incarnata – niente a che vedere con un simbolo angelicato – e senza la quale, tuttavia, il mistero dell’incarnazione non potrebbe avere luogo. E questo non inteso solo dal verso della sua carne, come necessità di un utero di donna ad accogliere la trasmutazione, che renderebbe Maria non così dissimile dalle donne oggi usate come stanza d’affitto per il nascituro programmato da qualcun altro.

Questo dal verso del suo spirito, della sua libera scelta di essere il tramite della carne per Dio. Forse molti non sanno che la mariologia fu al centro del pensiero di grandi femministe e filosofe come Maria Zambrano, Simone Weil, Edith Stein, solo per citarne alcune. Perché la verità sul femminile è che il femminile è primariamente e ontologicamente libertà, persino di accogliere l’eterno e l’indicibile, e questa dovrebbe essere la sola cosa a star a cuore delle donne, essere libere, e degli uomini proteggere la libertà delle donne.

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